Camilla Baresani

Gossip d’autore à la carte

Illustrazione di Valeria Petrone

Truman Capote non si accontentò del successo di Colazione da Tiffany e di A sangue freddo, i due romanzi che l’avevano reso ricco e famoso. Sognava di diventare il Proust americano, e così decise di scrivere un romanzo-verità, con protagonisti riconoscibili dai lettori di cronache mondane. Voleva raccontare il mondo del jet set che gravitava su New York e renderlo un fenomeno sociale caratteristico del tempo, così come Proust aveva fatto con Parigi. Questo libro, un imperfetto capolavoro di scrittura, si chiama Preghiere esaudite, e non fu perdonato a Capote. Dopo la sua pubblicazione, lo scrittore venne rifiutato da tutte le socialite milionarie che l’avevano scelto come compagno di maldicenze, che l’avevano ospitato nelle loro magioni, sugli yacht e, soprattutto, nei loro cuori capricciosi. “Il racconto di Capote è un inanellarsi di storie e cattiverie,” scrive Christoph Ribbat in Al ristorante, un libro assai gustoso, zeppo di aneddoti e curiosità tratti dalla storia mondiale dei ristoranti. Il capitolo più devastante di Preghiere esaudite, infatti, si svolge in un celebre ristorante di New York, La Côte Basque. Lady Ina, commensale di P.B. Jones, alter ego di Capote, ha un solo desiderio, ubriacarsi (“Frantumare la giornata in tanti pezzi dorati”), e perciò ordina un piatto che va preparato espressamente, il soufflé Fürstenberg. Prima che sia pronto, avrà già fatto a tempo a scolare una bottiglia di Cristal, e ce ne vorranno un’altra e un’altra ancora per arrivare alla fine del pasto. “Lo champagne ha un grave inconveniente: se lo si tracanna con regolarità, provoca una certa acidità di stomaco, e la conseguenza è un cattivo alito permanente”, dice Lady Ina. Così, quei due, pieni di acidità, bevono champagne e cincischiano col soufflé per quaranta pagine di rivelazioni e insinuazioni. Ormai quasi soli nel ristorante, mentre “fuori aspettava soltanto il pomeriggio in declino di New York”, Lady Ina si alza “barcollando come un delfino che frange la superficie del mare” e si avvia sbandando verso la toilette delle signore. È la fine del pasto, delle maldicenze, del libro, e anche della vita sociale di Truman Capote. A noi, dopo tutto questo male di vivere, non resta che stappare una bottiglia di morbido vino rosso marchigiano – vagamente fruttato e molto meno acido dello champagne – e lasciarci andare ai piaceri della benevolenza.

Truman Capote non si accontentò del successo di Colazione da Tiffany e di A sangue freddo, i due romanzi che l’avevano reso ricco e famoso. Sognava di diventare il Proust americano, e così decise di scrivere un romanzo-verità, con protagonisti riconoscibili dai lettori di cronache mondane. Voleva raccontare il mondo del jet set che gravitava su New York e renderlo un fenomeno sociale caratteristico del tempo, così come Proust aveva fatto con Parigi. Questo libro, un imperfetto capolavoro di scrittura, si chiama Preghiere esaudite, e non fu perdonato a Capote. Dopo la sua pubblicazione, lo scrittore venne rifiutato da tutte le socialite milionarie che l’avevano scelto come compagno di maldicenze, che l’avevano ospitato nelle loro magioni, sugli yacht e, soprattutto, nei loro cuori capricciosi. “Il racconto di Capote è un inanellarsi di storie e cattiverie,” scrive Christoph Ribbat in Al ristorante, un libro assai gustoso, zeppo di aneddoti e curiosità tratti dalla storia mondiale dei ristoranti. Il capitolo più devastante di Preghiere esaudite, infatti, si svolge in un celebre ristorante di New York, La Côte Basque. Lady Ina, commensale di P.B. Jones, alter ego di Capote, ha un solo desiderio, ubriacarsi (“Frantumare la giornata in tanti pezzi dorati”), e perciò ordina un piatto che va preparato espressamente, il soufflé Fürstenberg. Prima che sia pronto, avrà già fatto a tempo a scolare una bottiglia di Cristal, e ce ne vorranno un’altra e un’altra ancora per arrivare alla fine del pasto. “Lo champagne ha un grave inconveniente: se lo si tracanna con regolarità, provoca una certa acidità di stomaco, e la conseguenza è un cattivo alito permanente”, dice Lady Ina. Così, quei due, pieni di acidità, bevono champagne e cincischiano col soufflé per quaranta pagine di rivelazioni e insinuazioni. Ormai quasi soli nel ristorante, mentre “fuori aspettava soltanto il pomeriggio in declino di New York”, Lady Ina si alza “barcollando come un delfino che frange la superficie del mare” e si avvia sbandando verso la toilette delle signore. È la fine del pasto, delle maldicenze, del libro, e anche della vita sociale di Truman Capote. A noi, dopo tutto questo male di vivere, non resta che stappare una bottiglia di morbido vino rosso marchigiano – vagamente fruttato e molto meno acido dello champagne – e lasciarci andare ai piaceri della benevolenza.

Pubblicato il 14 gennaio 2017