Camilla Baresani

Sommario

Breve storia di Da Vittorio e del successo dei Cerea

Luglio 2024 - - Cibo

Fine anni Sessanta, Pianura Padana e Prealpi. È boom economico: fabbriche e fabbrichette nascono ovunque, professionisti e consulenti moltiplicano la propria clientela, la figura del commendatore diventa il luogo comune di uno stile di vita operoso e al contempo godurioso. Si vive in un crescente benessere economico che fa lievitare i desideri. I ristoranti di tono scelti dalla nuova borghesia danarosa propongono cucina territoriale, quindi carne (il filetto), cacciagione, ovoli, porcini, tartufi, e ricercatezze come paté di foie gras, caviale e salmone affumicato. Il mare è rappresentato da baccalà e stoccafisso, e poi ci sono trote, lucci, salmerini, anguille, tinche: i fiumi, i laghi. Ma nella classe benestante cresce la fame di pesce fresco di mare, di gamberoni, di scamponi, di orate e branzini, di ostriche, di capesante. Dunque, si prende la macchina e si porta la famiglia o l’amante o il miglior cliente fino in Liguria, a Forte dei Marmi, nella Laguna Veneta. Sono viaggi.

Finché arriva Vittorio Cerea, che apre un ristorante nel centro di Bergamo bassa. È il 1966 e verrà ricordato per aver “inventato” il pesce fresco di mare ai piedi delle Prealpi e nel bel mezzo della pianura. Unisce ai menu territoriali il pesce fresco e di qualità arrivato in giornata dai migliori mercati ittici. È successo immediato. Quel signore dall’apparenza rude, dal corpaccione solido e dall’accento che lo facevano sembrare più oste che manager di ristorante di alta fascia, proprio usando una miscela di simpatia e di carattere verace, le mani sul tavolo del cliente, la chiacchierata magari in dialetto, uniti ai lussi di ingredienti esclusivi cucinati con raffinatezza, diventa punto di riferimento dei desideri gastronomici di ogni gourmet del nord Italia. Accanto a lui, la moglie Bruna, che gli dà cinque figli. Quattro dei quali creeranno un impero della ristorazione di fine dining, che oggi, in Europa, possiamo paragonare solo a quello di Joël Robuchon.

Nel 1978 la prima stella Michelin, e diventeranno due nel ’96. Nel 2005, con il trasferimento dal centro di Bergamo a Brusaporto, alle porte della città, nel verde della collina Cantalupa, Da Vittorio diventa Relais&Chateaux e Les Grandes Tables du Monde. Nel 2010, arriva la terza stella Michelin. A gestire l’impresa di famiglia, sono oggi Enrico, detto Chicco, e Roberto, noto come Bobo: entrambi executive chef del ristorante; poi c’è Francesco, che è responsabile della ristorazione esterna (il catering) e degli eventi, e c’è Rossella, general manager e a capo della sezione gift (cioè i prodotti confezionati con il marchio Da Vittorio).

Possiamo immaginare il dispiacere dei familiari di Vittorio che, mancato nel 2005, non ha potuto vedere la rincorsa presa dall’azienda di famiglia: il settore di ristorazione esterna in grado di arrivare in ogni continente, il gifting, il susseguirsi di aperture: a Sankt Moritz e a Shanghai con i ristoranti fine dining (entrambi due stelle Michelin), e i due DaV, a Milano nella Torre Allianz di City Life e a Portofino. Alcune indiscrezioni dicono che da Vittorio stia per aprire un nuovo ristorante nella posizione più invidiata di Milano, con un grande marchio del lusso. Abbiamo chiesto a Chicco Cerea, ma ancora non conferma. I fatturati del gruppo, i più alti del settore della ristorazione italiana, premiano obiettivi che difficilmente altri gruppi riusciranno a raggiungere.

Ma questo successo travolgente a cosa è dovuto, oltre che all’organizzazione ferrea, senza sbavature? Noi crediamo che stia nelle origini, in quei modi non ingessati per cui puoi trovare Chicco Cerea che viene a portare un piatto o addirittura a togliere le briciole dalla tovaglia, e si ferma a fare due chiacchiere che non devono riguardare necessariamente gli osanna al menu; e poi, certamente, anche al menu, che non è eccessivamente creativo bensì solido, con piatti in cui quel genere di clientela che ha cominciato ad apprezzarli con il ristorante bergamasco, affezionata anche alla solidità di ricette meno inventive che si fissano nella memoria, continua a percepire un’aria di casa. Da Vittorio (e anche i DaV), sono infatti, per chi può permetterselo, percepiti come il ristorante in modo classico, quello dove torni, dove ti conoscono, dove c’è un’atmosfera in cui ognuno è al suo posto, il cliente è cliente e il cuoco è il cuoco, non il protagonista, l’artista del varietà, il cuoco filosofo, il personaggio televisivo. Tant’è vero che è poi venuto da sé, senza che i Cerea l’avessero cercato, il successo sui social, tra i ragazzi: ecco dunque i fan imitatori, coloro che si ingegnano a spiegarci la tecnica di preparazione di due piatti apparentemente semplici presenti nel menu storico di Vittorio, e che sono nelle papille gustative di ogni italiano, anche se in declinazioni molto meno superlative di quelli eseguiti dai Cerea: i paccheri al pomodoro e la cotoletta.

Piace insomma l’arte dell’accoglienza, piacciono i menu non strampalati, piace la laboriosità lombarda, quell’essere sempre pronti a partire e fare al meglio, ovunque sia, dal Vietnam all’Alaska, come soldati del gusto e del benessere.