Camilla Baresani

Sommario

René Redzepi – Il cuoco venuto dal freddo

Marzo 2012 - Sette - Corriere della Sera - Cibo
Un ciuffo di erbe spontanee, fiorellini viola e gialli splendenti tra rocce lisce color antracite; qualche goccia d’acqua con riflessi d’arcobaleno (c’è appena stato un acquazzone), un po’ di terriccio rosso, sassolini sparsi, la scia bavosa di una lumaca, due fili di paglia, un guscio d’uovo rotto. Potrebbe essere il soggetto di una di quelle foto che catturiamo col telefono durante una passeggiata, entusiasti della composizione casuale offerta dalla natura. Ma potrebbe anche essere uno dei piatti di René Redzepi, lo chef danese patron del Noma, da due anni al vertice di The World’s 50 Best Restaurants, una classifica che in prestigio internazionale sta superando la paludata Michelin, più “borghese” e ampollosa. Il 30 aprile sapremo se il ristorante di Copenaghen verrà incoronato migliore del mondo per la terza volta, ma il fatto che Time abbia dedicato nel mese di marzo a René Redzepi la copertina dell’edizione internazionale è un segnale della venerazione che continua a tributargli il capriccioso mondo dei foodies (in neoitaliano, gastrofanatici). Prima di lui, Time aveva santificato in copertina solo tre cuochi: Julia Child, pioniera della cucina americana; Alain Ducasse, il francese recordman di stelle Michelin e con uno spiccato senso imprenditoriale nel campo dell’alta ristorazione; Ferran Adrià, il grande chef spagnolo che, avendo chiuso il suo ristorante (El Bulli) nel momento di massimo successo, è diventato anche un campione mondiale dell’uscita di scena.
Ma torniamo alla composizione spontanea che sembra colta su un ventoso isolotto scandinavo, e tuttavia potrebbe anche essere un piatto del Noma (da Nordic mad – e mad in danese significa cibo). Per la New Nordic Cuisine, del cui manifesto il trentaquattrenne Redzepi, “sacerdote degli ingredienti boreali”, è ispiratore ed estensore, è fondamentale utilizzare esclusivamente i migliori prodotti del nord: muschio, bacche, tuberi, radici, germogli, yogurt, seppie, pollo, funghi, uova, alghe, bue muschiato danese, granchi d’alto mare, aghi di pino… Al Noma, un affascinante ex magazzino del sale, non si utilizzano alimenti della cucina mediterranea – si evita persino l’olio d’oliva, preferendo quello di colza – ma solo materie prime a “filiera corta”, cresciute e allevate nella terra dei vichinghi. Quella di stilare un proprio manifesto è una caratteristica degli chef contemporanei. I più innovativi vengono percepiti come fossero dei filosofi dell’alimentazione, e sulla spinta del culto creato dai seguaci sentono che oltre a produrre i soliti libri di ricette c’è bisogno di un punto fermo teorico che spieghi la loro cucina. Ferran Adrià, pochi anni prima di chiudere per sempre il suo ristorante, ha scritto un manifesto gastro-filosofico in 23 punti, mentre René Redzepi ha più sobriamente composto un decalogo in cui illustra i dettami del rinnovamento della cucina nordica. Vi si spiega che il futuro sta nel passato, cioè nella ricerca delle proprie radici alimentari; che si tratta di valorizzare in nuove combinazioni gli ingredienti specifici dei paesi scandinavi, riflettendo nei menu il succedersi delle stagioni; che è inoltre necessario creare una cucina attenta sia al benessere di chi mangia sia a quello di chi è mangiato (applicando cioè tecniche di allevamento non intensive). Manifesto o non manifesto, sino a pochi decenni fa la grande cucina era considerata un’esclusiva dei francesi con qualche incursione italiana e spagnola; adesso, invece, anche nei luoghi più insospettabili nascono movimenti gastronomici, grazie a fenomeni come quello di Redzepi, cioè di ragazzi appassionati e ispirati che fanno stage nelle migliori cucine del mondo per poi tornare al proprio paese d’origine, dove rinnovano le stanche e sciatte abitudini culinarie nazionali creando nuove correnti di alta cucina. “Qui siamo protestanti,” ha dichiarato Redzepi (il cognome è dovuto alle origini macedoni del padre). “Noi mangiavamo un solo piatto, in silenzio, e la vita iniziava subito dopo. Mangiavamo modestamente, per sopravvivere, e soprattutto carne. Forse quello che stiamo facendo al Noma è futile. Forse è solo un’avventura passeggera. Ma perché non provare?”.
Be’, provandoci ha avuto un successo enorme (al Noma sono disponibili 22.000 posti all’anno, e nel 2011 c’è stato un milione di tentativi di prenotazione), successo che ha influito positivamente sull’intero comparto gastronomico danese: “Abbiamo cambiato la dieta di gran parte dei danesi? Probabilmente no. Ma se ci chiediamo cosa cucinavano i ristoranti otto anni fa (quando è stato fondato il Noma, ndr), la risposta è: cibo francese e italiano. Ora invece sono sempre più quelli che cucinano alimenti locali. E al supermercato si vende l’aglio selvatico e lo sciroppo di betulla e d’acero. Addirittura si trova ovunque l’olivello spinoso (bacche selvatiche, ndr)”.
Ricapitoliamo: se siete attratti dalla cucina di Redzepi, coi suoi piatti di aspetto affascinante, in cui si cerca un equilibrio di sapori tra acido e amaro, con note aromatiche di fumo e di cenere, in un virtuosismo creativo in cui i rametti contenuti in un vaso si rivelano grissini, e i cracker sono pelle di pollo essiccata; una cucina i cui ingredienti fanno spesso pensare a quelli messi nel pentolone dal druido Panoramix quando prepara la pozione di Obelix… bene, non vi resta che accantonare circa 250 euro per le 24 portate del menu e per il vino, mettervi in lista d’attesa (www.noma.dk), e tener d’occhio i voli low-cost per Copenaghen. Se poi usate twitter, seguite le avventure culinarie di Redzepi, che posta le foto dei nuovi piatti, man mano che li crea. Anziché la propria immagine, ha scelto quella di un alce con la bocca aperta, mentre bramisce. Più scandinavo di così!