Camilla Baresani
Autore: Eduard Limonov, Viktor Erofeev, Vladimir Sorokin
Titolo: Russian Attack
Editore: Salani
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: €11,90

Sommario

EDUARD LIMONOV, VIKTOR EROFEEV, VLADIMIR SOROKIN- Russian Attack

Febbraio 2011 - Il Sole 24 Ore - Domenica - Recensioni
Colpa di Putin, colpa dei bolscevichi, colpa del paesaggio desolato e del clima insopportabile. Colpa, soprattutto, della razza slava ormai rammollita: i racconti di Russian Attack sono un’accusa e una denuncia che variano dai toni grotteschi a quelli sarcastici. Gli autori della raccolta sono i più rappresentativi e in auge della letteratura post sovietica: il pornografo dissidente ma con protezioni altolocate Viktor Erofeev; il sovversivo di genio, un vero fuoriclasse, Eduard Limonov; il concettualista apocalittico Vladimir Sorokin. È raro che una raccolta di racconti eterogenei sembri davvero necessaria: spesso si tratta di forzature editoriali che riuniscono, con la scusa di un tema comune, racconti malriusciti di autori che ben poco hanno a che vedere l’uno con l’altro. Qui invece l’assemblaggio, motivato dal comune attacco al potere costituito, funziona eccome. Ci sono assonanze se non stilistiche perlomeno ribellistiche, unite da una vigorosa e comune matrice letteraria. Come scrivono i russi non scrive nessuno: pessimismo, gusto per i dettagli grotteschi, malinconia, superomismo e fanfaronaggine, vocazione teorica ed estro narrativo.
Erofeev, pur essendo il meno dotato dei tre autori (e il più celebre in patria), nel racconto “Vita con un idiota” riesce a sovvertire ogni logica e parvenza di oggettività, creando una realtà assurda e credibile, zeppa di paradossi, di toni eccitati e canaglieschi, di sottolineature emotive. Nella vita di una coppia appena sposata si inserisce un idiota grottesco e molesto che – dopo aver distrutto la casa, violato la moglie (consenziente), e infine anche il marito – si dimostra l’unico animalesco elemento di verità e vitalità possibile. Ma le pagine più forti sono quelle del nazional-bolscevico Limonov, sorta di fascio-comunista gradasso, pluriarrestato e dotato di un suo piccolo drappello di fan sovversivi. In “Estraneo e Malvagio” compone una sorta di fenomenologia di Putin su cui si esercita con accanimento per demolirlo da ogni punto di vista: fisico, del gusto, delle attitudini e scelte lessicali, persino della moglie che si è scelto. E al di là dei contenuti, che ognuno è libero di non condividere, quello che avvince è la qualità della prosa. Come capita con Celine. Limonov ha il dono di una scrittura strepitosa: ritmata, secca, urticante, nemica di ogni forma di pietà umana e di ogni pensiero beneducato. Eccellenti anche lo spietato (e spassoso) racconto “Coca-cola generation and unemployed leader”, ambientato a Parigi; e le descrizioni del paesaggio russo, con relative conseguenze sull’animo, di “La Tana e la Patria”. Ecco, in sintesi, come Limonov spiega la natura smidollata dei russi: “La Russia è innanzi tutto un inverno in bianco e nero… una superficie bianca attraversata dai fili scuri delle strade come raschiature di un’unghia su un vetro ghiacciato… I nostri figli vengono concepiti nel clima artificiale degli appartamenti. Come in un’incubatrice si gonfiano in fretta, lievitano a vista d’occhio accanto a termosifoni bollenti… La Russia è in primo luogo i quartieri dormitorio delle grandi città… Il fatto è che l’uomo non è nato per vivere a queste latitudini nevose… Coloro che sono stati cresciuti entro quattro mura non hanno il senso dello spazio. Non hanno un concetto carnale di Patria…”. Limonov vuole dimostrare che i russi, crescendo stipati in appartamenti tutti uguali, straniati dalla concretezza del paesaggio come polli in batteria, non sviluppano alcun attaccamento alla patria e non sono dunque in grado di amarla e difenderla. Da qui la superiorità morale di moldavi, ceceni, ucraini. Non altrettanto rovinosamente inurbati, essi provano una sensazione di possesso del paesaggio che non è astrazione ed è piuttosto orto dove crescono fiori e patate, casa costruita con le proprie mani, bosco per farci la legna e raccogliere i funghi, fiume in cui pescare. I racconti di Sorokin, pieni di fredda e umoristica disperazione, si sviluppano con soffuse atmosfere cechoviane per poi approdare a finali che più neri non si può. Ma il migliore è “Il potere dei musi”. Sorokin vi sostiene, partendo dalle immagini trovate nell’album di una fotografa di matrimoni, che ormai “il patrimonio genetico dei russi ha subito un danno irreparabile”. Restano solo “uomini di Neanderthal”, “trash genetico”, e questo perché i rappresentanti del regime bolscevico avevano deciso che “per strada c’erano troppe persone con volti dai lineamenti fini, e andavano fucilate”. Ne consegue che “imbattendovi nei vostri connazionali all’estero non vi precipitate ad attaccar discorso… Al contrario: fate di tutto perché non vi riconoscano. E se vi riconoscono provate una sorta di vergogna, di imbarazzo, come se in passato aveste scontato insieme una pena in carcere”.
Notevole il lavoro del traduttore Marco Dinelli, che da anni si occupa di questi autori, e dunque li conosce a fondo.
La traduzione italiana di Russian Attack è stata sovvenzionata da Russkij Mir, un’associazione che dispone di contributi pubblici – quindi governativi – e “ha lo scopo di divulgare la lingua e la cultura russa come elementi importanti della civiltà mondiale”. Il vituperato regime e lo sbeffeggiato Putin, pur di dare un’apparenza di democrazia, contribuiscono alla diffusione di racconti che li prendono pesantemente di mira.