Camilla Baresani
Autore: Karl Ove Knausgård
Titolo: La mia battaglia
Editore: Feltrinelli
Anno di pubblicazione:
Prezzo: €10,20

Sommario

KARL OVE KNAUSGÅRD – La mia battaglia

Ottobre 2015 - Sette - Corriere della Sera - Recensioni

Karl Ove Knausgård. Karl Ove Knausgård. Karl Ove Knausgård… Ripetete questo nome ostico perché, se amate la letteratura, entrerà nelle vostre conversazioni e nelle vostre tastiere, e lo legherete a vivide immagini di una narrativa di rara efficacia. Lo scrittore norvegese, un quarantasettenne dal fascino vichingo, è autore di una fluviale autobiografia in forma narrativa: La mia battaglia. Sono sei volumi per un totale di quasi 3.500 pagine, tre dei quali già pubblicati in Italia da Feltrinelli (La morte del padre, Un uomo innamorato e, fresco di stampa, L’isola dell’infanzia), che gli hanno fatto vincere la XVIII edizione del premio Malaparte. L’autore sarà a Capri il 10 e l’11 ottobre per ritirarlo dalle mani di Raffaele La Capria, presidente della giuria, composta da Giordano Bruno Guerri, Giuseppe Merlino, Giovanni Russo, Emanuele Trevi e Marina Valensise. Il Malaparte, fondato da Alberto Moravia e curato da Gabriella Buontempo, premia autori internazionali che nelle loro opere “manifestino tratti di particolare vitalità”, ed è una garanzia per i lettori. Da Anthony Burgess primo vincitore nel 1993 a Donna Tartt nel 2014, se sfogliate l’elenco dei premiati noterete che tutti sono diventati classici contemporanei.

Quando ci sottopongono volumi da 500 pagine, di solito ci spaventiamo; figuriamoci se i volumi sono sei, e parlano della vita dell’autore, senza promettere ammazzamenti né furti né colpi di stato, nessun plot sensazionale con susseguirsi di colpi di scena. La prima reazione dei lettori è: Ma cosa vuole da me? Chi ha il tempo di leggersi un mattone del genere? L’ho pensato anch’io, che però da anni sono appassionata delle serie televisive, cui ho dedicato tra le 40 e le 60 ore per serie, e avrei continuato all’infinito se alcune non le avessero chiuse con mia (e di migliaia di altri spettatori) somma delusione. Quanto tempo avete dedicato a Sex and the City? A Desperate Housewives? A Mad Men? Decine e decine di ore senza mai pensare che fosse tempo sprecato, felici di entrare nelle vicende anche minimali di un gruppo di persone e non uscirne per anni. La vita di Karl Ove Knausgård è come un serial. Pagina dopo pagina ti affezioni al bambino spaurito e alla sua famiglia complessa, alla neve e al freddo, ai boschi, alle isole, all’adolescente innamorato, alle bevute, all’adulto che diventa orfano, alla quotidianità da marito scrittore, alla coppia alle prese con quattro bambini sfiancanti, alle riflessioni sulla morte, sull’arte, sulla vita: entri nel mondo dell’autore, proprio come sei entrato in quello di Tony Soprano. Se ci pensate, la sfida di Knausgård al romanzo odierno potrebbe sembrare fuori dal tempo, una battaglia retrograda per ristabilire i ritmi della narrativa ottocentesca e magari della Recherche, e invece è un progetto estremamente contemporaneo: introdurre nella vita dei lettori una serializzazione narrativa perfettamente adattabile alle loro esistenze concitate. Non dobbiamo iniziare ogni volta un nuovo personaggio, un nuovo carattere, una nuova ambientazione. Non dobbiamo sforzarci come ci si sforza ogni volta che si cambia scenario, cercando di ricordare nomi e luoghi e antefatti. Noi entriamo nella vita di Karl Owe e ci apprestiamo a seguirlo per anni, come fosse un amico intimo, facendoci raccontare del padre inquieto e inquietante, dei gusti musicali, persino di come si entra in casa e si tolgono le scarpe fradice e poi la sciarpa piena di neve cristallizzata, e la giacca a vento, e si salgono le scale e si incontra la mamma, e lei dice ciao come stai, bene, hai preso la legna, sì, hai fame, no, ciao, con tutte le parti inutili che di solito gli scrittori tagliano. Invece, in questa iperdescrittività, in questo sfoderare dettagli da nulla che il lettore potrebbe saltare ma non salta, in questo ossessivo ricordare e descrivere ci si comincia a sentire Karl Owe, e quando si torna a casa si ha solo voglia di leggere altre trenta pagine e vedere cosa gli succede, se ricorderà qualche altro dettaglio della vita deragliata del padre, se camminerà fino allo studio e osservando chi e cosa, se cambierà pannolini, se sua moglie partorirà quella notte. È uno svolgimento magnetico, che sembra calco della realtà ma non lo è affatto. È un romanzo. È chiaro che nessun essere al mondo può ricordare come aprì una porta e uscì in una sera qualsiasi per andare a bere una birra, e cosa fece nel bosco e quante auto passarono sul ponte la sera di capodanno dell’anno in cui aveva 16 anni. Knausgård ha reinventato il proprio passato con un’operazione squisitamente letteraria, al fine di renderlo una solida opera narrativa, che regga l’usura del tempo. Lo dimostra il fatto che nella minuziosa descrizione della vita quotidiana non entra mai una discussione su casi di cronaca o sulle elezioni del sindaco o sulla crisi economica, sull’Europa, sul terrorismo… Se la ricostruzione fosse così fedele come sembrano indicare le descrizioni di dettagli superflui, perché mancano le chiacchiere famigliari sulle notizie del giorno? Perché l’autore preferisce elencare  i dischi che ascoltava o descrivere l’imburramento di una fetta di pane? Io credo che l’abbia fatto perché voleva trasformare la sua vita, la sua opera, in un classico, e l’immissione della cronaca gli avrebbe tolto profondità.

Quello che Georges Perec chiamava “infraordinario”, qui viene dispiegato in modo narrativamente riuscito ed efficace: credo di non aver mai letto un’analisi più precisa ed entusiasmante delle fasi dell’innamoramento di un sedicenne. Si riscopre il gusto delle descrizioni del paesaggio, si godono le articolate riflessioni dell’autore sull’arte, su Constable e Munch. Merito di una scrittura cristallina, di tono rilassato, privo di concitazione, piana, elegante, semplice, funzionale, con dettagli di osservazione psicologica entusiasmanti (e va segnalata anche l’evidente bravura della traduttrice Margherita Podestà Heir). È come se l’autore ingaggiasse un braccio di ferro con il lettore, vincendolo dopo le prime 30 pagine, per dettare i tempi, i ritmi, i modi della narrazione. Io penso proprio che nelle nostre vite entrerà una definizione: “alla Knausgård”.