Camilla Baresani
Autore: O. Gourevitch (a cura di), M. S. Abate (Traduttore)
Titolo: The Paris Review - vol.2
Editore: Fandango Libri
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: €18,70

Sommario

THE PARIS REVIEW, vol. 2. Interviste

Agosto 2010 - Il Sole 24 Ore - Domenica - Recensioni

Le interviste agli scrittori appartengono a un genere di giornalismo culturale di grande appeal e incerta riuscita. Ci sono autori che hanno la capacità di formulare considerazioni letterarie in maniera efficace e sintetica, magari mischiandole a gustosi dettagli di vita pratica, e altri che non riescono ad astrarre le linee base della propria opera narrativa, pur di qualità. Conta, naturalmente, anche la capacità dell’intervistatore di saper condurre una conversazione che abbia ritmo e tocchi temi interessanti anche per chi non abbia letto le opere dell’autore intervistato. The Paris Review, celebre rivista letteraria newyorchese fondata nel 1953 a Parigi, ha costruito negli anni un archivio prezioso di interviste a illustri poeti e scrittori – perlopiù anglosassoni. È uscito ora in Italia il secondo dei quattro volumi che le raccolgono (The Paris Rewiev vol. 2, pag. 486, € 22), con interviste, tra gli altri, a Graham Greene, Isaac Bashevis Singer, Gabriel García Marquez, Harold Bloom, Toni Morrison, Alice Munro. Sono conversazioni molto estese, che spaziano generosamente nell’officina degli autori: convincimenti tecnici, esperienze personali, relazioni culturali con la storia della letteratura contemporanea e precedente. Forniscono una quantità di spunti riflessivi e di battute o definizioni tranchant, aforistiche, adatte ad arricchire i dizionari di citazioni.

Di fatto, queste interviste sono veri e propri ricettari, da sfogliare alla ricerca di ispirazioni concettuali, di conferme e disgusti, proprio come fa chi ama cucinare, sia a livello amatoriale sia per professione, quando consulta rapacemente libri di ricette dei concorrenti e dei grandi chef ormai defunti. Le domande ricorrenti nelle interviste della Paris Rewiev riguardano le motivazioni della forma letteraria scelta dall’autore – racconto o romanzo o poesia; l’importanza dell’ambientazione, della costruzione dei personaggi, dell’ispirazione (G. Greene: “Il talento, per quanto grande sia, non può bastare per mantenere un risultato, mentre una passione dominante riesce a dare criterio di unità a un intero scaffale di romanzi”); il ruolo della tecnica e del lavoro di riscrittura; i temi preferiti e l’uso di materiale autobiografico (Gardner: “Sfrutto i miei sentimenti – gli unici che io conosca direttamente – e li distribuisco a un gruppo di personaggi e lascio che se la cavino con gli stessi problemi con cui ho lottato io”); l’ingombro o l’aiuto delle attività collaterali come giornalismo, sceneggiatura, insegnamento (Lowell: “Forse l’insegnamento ti rende più cauto, più insicuro, ti fa scrivere meno”); la poetica e la maturazione del nucleo ispirativo originario; la necessità o meno di un imperativo morale (Faulkner: “L’artista è una creatura completamente amorale, per cui non esiterà a rapinare, prendere in prestito, elemosinare o rubare tutto da tutti, pur di portare a termine la sua opera. Tutto il resto passa in secondo piano. Onore, orgoglio, decenza, sicurezza, felicità. Tutto, purché il libro venga scritto. Se uno scrittore deve rapinare sua madre non esiterà a farlo: Ode su un’urna greca vale un numero infinito di vecchie signore”); infine, i rapporti con altri autori contemporanei e con la tradizione letteraria.

Più snelle dei saggi brevi che gli autori scrivono per ragionare sulla propria poetica, condensate dall’intervistatore, queste conversazioni danno una soddisfazione paragonabile alla lettura di un buon romanzo, e maggiore rispetto a quella provata partecipando agli incontri di uno dei tanti festival letterari cui ci hanno abituato le estati italiane. È un po’ come essere ammessi nel backstage di un concerto rock: non lo preferireste forse alla visione dalle tribune di uno stadio? Si emerge dalla lettura di queste interviste convinti più che mai che, se ci si riesce, il lavoro di scrivere sia il più invidiabile di tutti, benché, appunto, sia un lavoro. Come dice Singer: “Credo nei miracoli, o meglio nella grazia del cielo. Ma credo che i miracoli avvengano in ogni sfera della vita a eccezione della scrittura. L’unica cosa che genera un’opera di valore è il duro lavoro. È impossibile scrivere un bel racconto grazie a una zampa di coniglio in tasca”.