Camilla Baresani

Sommario

Digitalmente vecchi

Gennaio 2015 - LinC - Lavori in corso - Storie

Pensate ai genitori: una volta il gap generazionale con i figli si giocava principalmente sul pudore e sul decoro, due termini che oggi appaiono obsoleti e risuonano di connotazioni negative. I ragazzi e in particolare le ragazze volevano uscire, flirtare, esperimentare, tentare strade sconosciute, frequentare amici che non fossero quelli con cui erano cresciuti, avventurarsi in studi e lavori diversi da quelli della tradizione famigliare. Ma i genitori erano mummificati nei loro divieti, nella persecuzione delle libertà femminili, nel desiderio oppressivo che i figli prendessero la stessa strada dei padri e delle madri, il negozio, la ditta di idraulica, lo studio notarile, l’azienda, il posto statale. Cercavano persino di indurli al matrimonio, appena terminati gli studi, mostrandolo come destino inevitabile e felice, benché nella maggior parte dei casi le loro vite coniugali fossero un evidente insuccesso. Vi sto parlando non del 1800, ma di quello che succedeva ancora sino alla mia generazione (sono nata nel 1961), e in provincia, per esempio la provincia lombarda da cui provengo, almeno fino agli anni ’80.

Poi c’è stata la rivoluzione digitale, e sui nostri destini è calata la Grande Crisi.

Nel mondo in cui viviamo il gap tra genitori e figli si misura sull’aggiornamento tecnologico e sulla padronanza dell’inglese. Nulla è vietato, nessuno ti chiede di sposarti (“per carità! non fate come noi!”), nessuno vuole che tu faccia gli stessi studi inadeguati, quasi nessuno desidera che si prosegua la professione di famiglia, se ancora esiste. Persino i notai si lamentano, e sperano che i figli cambino aria e facciano fortuna con applicazioni tecnologiche o start up. Il mondo e le certezze degli adulti sono stati spazzati via, o sono in dissoluzione, o sono cambiati nelle modalità esecutiva. Infatti non esiste più un lavoro che si faccia come 30 anni fa, a parte, forse, la prostituzione su strada. Nemmeno i lavori artigianali più tradizionali, il liutaio, il restauratore di codici miniati, il ceramista: ora ci sono i contratti, le normative, le certificazioni, le ritenute, gli adeguamenti, gli F24, i controlli, le denunce, le norme comunali, in certi casi provinciali, regionali, europee, e spesso anche quelle della circoscrizione o del condominio. E poi, chi non ha bisogno di un computer, chi non si serve di dati e statistiche che raccoglie sul web, chi non usa materiali o tecniche innovative anche in campi tradizionali come la coltivazione dei carciofi?

Nel nostro mondo essere un cittadino in regola con le leggi comporta informazione continua, desacralizzazione e utilizzo del tempo libero nonché attitudine tecnologica. Oggi non è vecchio chi è vecchio, ma è vecchio chi non ha un conto on line con un token, chi non ha uno smartphone, chi non usa power point, chi non sa come scaricare una serie tv in lingua originale e nel caso associargli i sottotitoli, chi non è in grado di cambiare il proprio IP per nascondere la connotazione geografica che inibisce l’accesso a determinati contenuti, chi pur senza partecipare attivamente non curiosa in Twitter, Instagram, Facebook, chi non si fa scaltro per difendersi da virus, spyware e cookies.

Ho un amico che anni fa ha deciso di uscire del mercato del lavoro dove si era costruito una carriera di successo (era un noto produttore musicale), e ha scelto di togliersi da tutto. A sessant’anni non ha un computer, non ha un telefono cellulare, né una carta di credito o un bancomat. Come i latitanti. Per semplificarsi l’esistenza ne ha creata una complicatissima, perché è limitato in ogni azione e pensiero dal momento che può pagare solo in contanti, è costretto a mendicare informazioni agli amici (me lo cerchi su internet?), deve andare a caccia di telefoni fissi, persino di cabine telefoniche. Poco tempo fa, durante Virus, un talk di informazione politica su RAI 2, Nicola Porro ha intervistato Francesca Amfitheatrof, una splendida quarantenne italian internazionale che è diventata direttore creativo di Tiffany, cioè di quello che è di gran lunga il primo marchio di gioielleria al mondo. Nonostante la dimensione delle vendite, si tratta di un lavoro creativo e con una componente altamente artigianale. Per progettare i gioielli Francesca usa il pongo, i ritagli di carta, le maquette. A un certo punto, con l’aria di farle una domanda birichina, come quelli che domandano al capo della BCE quanto costa un litro di latte, Porro le ha chiesto se sapesse impostare un foglio excel. “Certo che lo so”, ha risposto tranquilla.

Insomma: se devo dire che rimpiango il passato… be’, no. Preferisco questo mondo, in cui l’invecchiamento non è genetico ma tecnologico, in cui la libertà, la partenza, l’esplorazione del nuovo è incoraggiata, perché non sappiamo nulla di quello che verrà, ma sappiamo che quello che c’è non ci basta più. La diminuzione delle possibilità economiche ci ha spinto all’apertura, ha scrostato le situazioni mummificate, ha fatto germogliare le nostre noiosissime vite conservative.