Dateci altri 50 anni e gli uomini saranno le nuove donne. E se 50 anni vi sembrano troppi, vi invito a considerare a quando risalgono le prime rivendicazioni femminili organizzate e teorizzate. Era la fine del Settecento, in Francia e poi in Inghilterra, in contemporanea con il periodo storico dell’Illuminismo. Dapprima si chiese l’accesso allo studio e il diritto al voto, da cui le donne erano escluse. Questi movimenti femminili, anzi femministi, hanno poi preso piede in tutto il mondo occidentale, in particolare nei paesi anglosassoni. Man mano che si ottenevano dei risultati le rivendicazioni si allargarono al diritto alla contraccezione e all’aborto, al diritto al lavoro e a raggiungere posizioni di rilievo e comando, alla lotta contro gli stupratori, alla ricerca medica e farmacologica ancor oggi tarata sui maschi, e a tutte le prevaricazioni che ci riguardano magari senza che nemmeno ce ne accorgiamo, abituate come siamo a introiettarle. Ricordo di aver letto in un saggio dello psicoanalista Aldo Carotenuto la dimostrazione di come persino l’idea di bellezza femminile sia una creazione dello sguardo maschile, e quando ci guardiamo allo specchio e ci giudichiamo lo facciamo utilizzando involontariamente un canone che non ci appartiene. Basti osservare il plotone delle donne di famiglia di Donald Trump, fotografate accanto a lui per celebrare la sua vittoria alle presidenziali. Tutte coi capelli lunghissimi a boccoli, le labbra gonfie, i tacchi, seni abbondanti naturali o artificiali che siano, giovani o ringiovanite da interventi chirurgici. Mogli o figlie supporter silenti del successo del maschio di casa, che ne incarnano anche l’ideale estetico e razziale.
Negli anni Sessanta, quando sono nata e ho cominciato a capire cos’era una donna e quali erano i limiti che le erano assegnati, in Italia il mondo femminile aveva solo da pochi anni conquistato il diritto al voto. Le ragazze madri erano considerate delle reiette. Le donne dovevano sposarsi e fare figli e tenersi il marito, fosse anche un orco. I maschi di casa erano le figure su cui si puntava per l’istruzione, per il reddito, per il comando, e avevano diritto a una vita sessuale libera e divertente, cosa che alle donne veniva assolutamente negata. Il corpo femminile, e parliamo di contraccezione, del diritto alle proprie scelte nel campo della sessualità e all’aborto, era ancora appannaggio dei maschi: ne eravamo spossessate. E non parliamo delle molestie, degli stupri anche in ambito famigliare: in quei casi c’erano solo silenzio e vergogna. Cinquant’anni dopo era cambiato tutto. Ricordo che intervistando delle studentesse italiane di un master della Bocconi, quando chiedevo come fossero cresciute, mi risposero tutte con parole simili: “Mia madre e mio padre mi hanno cresciuto come un maschio, stesse libertà dei miei fratelli, stesso incoraggiamento a studiare, a impegnarmi nel mondo e conquistare un ruolo autonomo che mi dia soddisfazione e mi permetta di mantenere dei figli”. Insomma, quel “come un maschio”, sembrava essere l’ultima rimanenza di qualcosa di sorpassato: per venire allevate come un essere umano libero bisogna attenersi a un modello maschile. Oggi il mondo dei diritti, non solo femminili, si è messo a correre sempre più veloce, anche se la velocità ha creato dei rigurgiti e delle marce indietro. Non dobbiamo deprimerci perché sono soprattutto le bianche laureate ad aver votato Kamala Harris, mentre donne meno istruite hanno preferito il misogino e sessista (e razzista) Trump. Oppure scoraggiarci pensando alle meravigliose ragazze iraniane, che invece possono studiare ma poi non trovano lavoro perché le si preferisce a casa a figliare. Per non dire di quello che è successo ad Ahoo Daryaei che spogliandosi e passeggiando con la sua casta biancheria intima si è immolata, novella Jan Palach, ed è finita (pare) in clinica psichiatrica. Se l’Iran sarà liberato dalla sua scandalosa teocrazia maschile avverrà grazie alle sue donne, soprattutto a quelle che hanno potuto studiare e capire che hanno diritto a una vita diversa. Le donne continuano a essere punite per il loro corpo a cui viene inflitta la responsabilità dell’incontinenza comportamentale dei maschi. All’inizio del Novecento il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud teorizzò l’invidia del pene, ossia il senso di castrazione e angoscia che nasceva nelle bambine per esserne private. Oggi, possiamo dire che quella teoria di successo, su cui sono state fatte infinite diagnosi, era una sciocchezza. Quello che notiamo è se mai l’invidia dell’utero, quel senso maschile di sconfitta, che genera leggi e comportamenti vendicativi da parte di chi non può crescere un figlio e partorirlo, e tra l’altro ha la frustrazione di un organo sessuale il cui eventuale malfunzionamento è palese. Oggi constatiamo che molti maschi vorrebbero avere i superpoteri delle donne, in campo riproduttivo, erotico, sociale, intellettuale e lavorativo. Tant’è che dove sono stati creati pari diritti di accesso allo studio e al lavoro, in Europa, in Asia e soprattutto negli Stati Uniti, le donne ottengono i migliori risultati anche nelle facoltà STEM e arrivano a posizioni preminenti in campo professionale. Sono queste donne istruite e di potere, che nei prossimi 50 anni creeranno le condizioni per cui la situazione verrà ribaltata e il nuovo “sesso debole”, per usare una locuzione che ci hanno affibbiato dalla nascita, non sarà più il nostro.