Camilla Baresani

Sommario

CIRCHI e ZOO: le gabbie della sofferenza

Novembre 2016 - Grazia - Storie

Ci sono due rivoluzioni del sentimento e della compassione. Una l’ha fatta nel XXII secolo un santo poeta, Francesco d’Assisi; l’altra, più recente, la dobbiamo a un imprenditore creativo, il signor Walt Disney. Entrambi ci hanno dimostrato, ognuno con i propri mezzi intellettuali e artistici, che gli animali amano, soffrono, ridono, scherzano. Sono esseri viventi che meritano rispetto e chi li sfrutta e procura loro dolore è una persona che non ha completato la propria crescita e maturazione di essere umano. Soffre di una carenza di simpatia, cioè – come dice l’etimo greco della parola – la capacità di condividere (syn = con, insieme) i sentimenti (pàthos = passione, affetto). I meriti di Francesco, e il suo amore per ogni essere del Creato, vengono insegnati sin dalle scuole elementari a tutti i bambini di formazione cattolica; quelli di Disney sono la conseguenza della visione dei fumetti e dei film di animazione, con Topolino e Nonna Papera, Pluto e Bagheera, Baloo e i Tre Porcellini, Bambi e gli Aristogatti resi “simpatici” a bambini e adulti in tutto il mondo. Se gli animali provano emozioni come noi, perché farli soffrire?

Ebbene, la Born Free Foundation e la LAV (Lega Anti Vivisezione), benemerite associazioni che si battono per l’affermazione dei diritti degli animali, hanno denunciato al Ministero dell’Ambiente e della Salute e al Corpo Forestale dello Stato una serie di strutture italiane con licenza di giardino zoologico che compiono sistematiche illegalità nei confronti degli animali. I sopralluoghi effettuati negli ultimi due anni hanno evidenziato vicende da lager, riguardo alle condizioni in cui gli animali sono imprigionati senza riparo dalla pioggia e dal calore, oppure in recinti di asfalto, con gabbie di dimensioni che non rispettano i requisiti minimi stabiliti dalla normativa europea. Oltre a ciò, si è scoperto che – contravvenendo alla legge che destina gli zoo ai soli scopi di conservare specie a rischio, di educare e di fare ricerca etologica – in questi falsi zoo gli animali vengono invece utilizzati per fare spettacolo, secondo la sorpassata logica ottocentesca che li ridicolizzava al fine di sollazzare un pubblico pagante. Pensate quante cattiverie sono state fatte esibendo scimmie e orsi incatenati, delfini prigionieri di delfinari che li sfruttano sino alla consunzione, poveri elefanti ammaestrati costretti a vivere tutta la loro esistenza tra frustrate e gabbie e spostamenti sui carri… Il catalogo dello sfruttamento è infinito e tristissimo. Fa pensare alla storia di Ota Benga, un povero pigmeo dell’inizio del Novecento, comprato dallo zoo del Bronx e destinato a essere esibito in gabbia con orangutan e scimpanzé per stupire spettatori paganti. L’omonimo romanzo-verità di Antonio Monda racconta proprio questo triste capitolo della storia della curiosità umana, ed è utile a riflettere quanto lo sfruttamento di esseri umani e di animali siano fenomeni analoghi e ugualmente deprecabili.

La stessa persistenza di circhi con animali, al di là di ogni normativa e buon senso, è scandalosa. Un tempo il circo e gli zoo avevano un senso, magari discutibile, ma improntato a mostrare agli esseri umani il mondo animale, soprattutto quello esotico. Un abitante di Parigi, ma anche di una cittadina sperduta della Highlands scozzesi, poteva andare al circo o allo zoo e vedere animali inauditi: la giraffa, l’elefante, la tigre, il rinoceronte, il formichiere. Ma poi, a partire dagli anni Settanta, la televisione di stato, e in seguito anche le televisioni private e il mondo del web hanno programmato infiniti documentari di squisita fattura che mostrano gli animali esotici ambientati, anziché in gabbia o sotto un tendone nei loro luoghi d’origine, con le movenze naturali, impegnati nel loro personale lavoro quotidiano di procacciarsi cibo, sconfiggere i nemici, riprodursi. Al punto che quando poi vediamo un animale allo zoo-safari quasi ci sembra finto, perché gli mancano quella spontaneità, quei suoni, quei colori che invece i documentari del National Geographic mostrano egregiamente. Questo per dire che anche quei rimasugli di zoo che si comportano secondo i canoni delle leggi contemporanee sono totalmente superflui, se lo scopo è educativo e non lucrativo. Ogni anno le principali riviste geo-naturalistiche indicono gare per documentari e fotografie sul mondo animale e vegetale. La precisione crescente del dettaglio delle immagini, dovuta all’evoluzione tecnologica della fotografia digitale, è talmente superiore a quella offerta ai nostri sguardi di spettatori dello zoo, che ci si chiede perché mai ancora si finga di dover educare quando in realtà di tratta quasi sempre di puro business, cioè di guadagnarsi da vivere sulle spalle di poveri animali incolpevoli. Ricordate la giraffa scappata da un circo a Imola, nel 2012, che correva terrorizzata nel traffico sinché è morta per effetto della sedazione? E l’ippopotama in fuga da un circo di Macerata, morta investita da un’auto? E il branco di cammelli scappati da un circo di Cesate pochi mesi fa? Per non dire dello scandalo dei cavalli che portano i turisti a spasso nel traffico delle grandi città. A giugno, c’è stato l’ennesimo caso di cavallo stramazzato sui sampietrini, questa volta a Roma in piazza Venezia, scivolato dopo che uno scooter gli aveva tagliato la strada.

Come mai c’è ancora qualcuno che spende denaro per farsi portare da ronzini sfiatati nel traffico selvaggio di una città, come fanno questi “clienti” a non percepire l’ingiustizia di cui si rendono complici? Come mai ci sono persone che godono vedendo palii e corride, corse e combattimenti, basati sulla sofferenza e lo sfruttamento degli animali? Dobbiamo sempre ricordare che la caratteristica che rende ammirevole un essere umano è la compassione, cioè la sua capacità di patire con gli altri, chiunque essi siano.