Camilla Baresani

Sommario

La parola “vanità”

Settembre 2004 - Vanity Fair - Storie

Vanity Fair: La fiera delle vanità. E’ il nome della rivista che state leggendo, nonché il titolo di un romanzone inglese dell’800 che forse non avete letto, e di un film – tratto dal romanzo – che presto uscirà nei cinema italiani.

Concentriamoci sulla parola vanità: ne vale la pena, è una delle più belle del vocabolario: va-ni-tà, tre sillabe, un bel suono secco, un significato che cambia a seconda di dove la si metta. Una parola camaleontica e piena di sfumature.
Cominciamo abbinandola alla donna: che sia vanitosa è reputato normale e, nel caso in cui sia bella, la vanità diviene addirittura una componente della sua bellezza. Se invece la vanitosa è brutta suscita simpatia, perché ha coraggio. La vanità femminile è un vezzo innocuo, che nulla toglie all’intelligenza e alla forza di carattere. Anzi, convive con esse. L’uomo vanitoso invece è ridicolo: di solito è anche sciocco, si specchia nelle vetrine e gli amici si divertono a sfotterlo. La vanità maschile non è un abbellimento, non aggiunge nulla e se mai toglie autorevolezza: è un tallone d’Achille, una debolezza.
C’è poi il letterato vanitoso: una delle più insopportabili categorie di umani. Pesante, noioso, perennemente impegnato a esibire cultura e autorità morale. La vanità lo spinge a pontificare a più non posso, a citare, dettagliare, specificare… E’ insomma un aggiungere che toglie, un dippiù che svuota e annoia. La parola vanità si sposa talmente bene ai letterati, che “editori di vanità” (vanity press) sono dette quelle tipografie cui si rivolgono stuoli di incompresi per far stampare, a pagamento, le loro opere rifiutate dai veri editori. Spesso, questi incompresi, sono poeti: la vanità d’esser poeta è un virus micidiale, che s’inocula nelle persone più insospettabili.
Ma ci sono anche vanità che ispirano alternativamente simpatia e irritazione: che dire della vanità degli sforzi di chi si batte per cambiare il mondo? E la vanità delle promesse d’eterno amore?
Insomma, ce n’è per tutti. Esiste ancora qualcuno convinto che la vanità non lo riguardi?