Camilla Baresani

Sommario

Il mercato editoriale in Russia

Agosto 2005 - Il Sole 24 Ore - Storie

“Sì, questo sono io e il mio padrone. No, sbagliato, questo è il mio padrone con me. Io cito per primo il mio padrone e poi tocca a me ”. Non è un romanzo sull’America coloniale ambientato in una piantagione: è il finale di Conny’s story di Irina Borisova, un libro per bambini che racconta la storia di un cagnetto nero e delle sue peripezie. Arrivati all’ultima pagina, ecco la sorpresa: il cagnetto, che fin lì era una semplice illustrazione, si presenta, ristabilisce la corretta gerarchia, e ce lo ritroviamo fotografato mentre, da fiducioso e diligente labrador, dà la zampa al padrone. Padrone che è Vladimir Putin in persona, seduto amichevolmente a terra, in stivali e pantaloni da cavallo.
Cose che scopri in una libreria russa, sfogliando il libro di un’autrice russa, destinato a piccoli lettori russi, e scritto in inglese. Cose che ti fanno pensare “Oddio, ci risiamo col culto della personalità!” – anche perché nella medesima grande libreria moscovita, a due passi dalla Piazza Rossa, gli unici gadget acquistabili sono fotografie di Putin già bell’e incorniciate, in pose che vanno dall’assorto-con-sguardo-vago al marziale-con-colbacco, dal manageriale con telefono in pugno al presidenziale con penna pronta alla firma. Più vario, invece, l’assortimento di idoli offerto da quella sorta di versione russa del presepe napoletano che sono le matrioske. In vendita nei negozi e nelle strade, quest’anno, oltre alle consuete matrioske Putin, Lenin, Stalin e Eltsin, si vendevano le Britney Spears, le Harry Potter, le Pavarotti, le Mick Jagger. Tutte celebrità ad alto tasso britannico, che diventa altissimo quando si passa alle matrioske calcistiche: tra i tifosi russi furoreggia Albione per via del Chelsea posseduto dall’oligarca in esilio Roman Abramovic. Ma l’anglofilia dilaga anche nelle librerie: c’è addirittura la coda davanti al settore dedicato ai libri in inglese – e a dire il vero c’è un discreto assembramento anche in quello dedicato alle altre letterature in lingua originale. Sul versante delle novità, il libro più reclamizzato e più esposto (anche lì dove l’attinenza non è proprio stringente, o almeno non di primo acchito, come nei reparti dedicati ai thriller) è l’autobiografia di Bill Clinton. La sua faccia tonda e sorridente, da Charlie Brown invecchiato, è l’unica che riesca a contrastare il monopolio dell’iconologia putiniana.
Sempre in zona vetrina, troviamo Michael Moore col suo Fahreneit 9/11 , accanto a un assai più fatuo volume fotografico per fanatici della serie Sex in the city, con i set e i dietro-le-quinte delle varie puntate. Diversamente dalle nostre, le principali librerie moscovite hanno il bancomat interno; esattamente come nelle nostre, i commessi che vi lavorano si mostrano spesso del tutto ignari di qualunque cosa abbia a che fare con i libri, e a ogni richiesta ricorrono al computer.
Nell’ultimo anno (che come velocità dei cambiamenti ne vale parecchi) il divario tra straricchi e strapoveri m’è parso ridursi grazie all’affiorare di una classe intermedia: la città ferve di cantieri fin nelle più sperdute periferie, il parco-auto degli abitanti si è miracolosamente rinnovato nel volgere di pochi mesi, le aiuole sono ordinatissime e zeppe di fiori (“Non li rubano più”, mi dice un giornalista di The Moscow Times, quotidiano gratuito in inglese), e le librerie pullulano di lettori.I libri, del resto, costano pochissimo, dai due ai nove euro per le novità in edizione rilegata; e in metropolitana, nei bar, sulle panchine, ovunque si veda qualcuno intento a leggere, ciò che legge non è un giornale bensì un libro.
Parlo con Alexandra Glebovskaia, che dirige Symposium, raffinata casa editrice pietroburghese specializzata nelle traduzioni di narrativa “alta” (dai nostri Eco, Baricco e Ammanniti, a Roman Gary, Elfriede Jelinek, Maxence Fermine, Peter Hoeg). Pochi gli autori russi, ma importantissimi: Vladimir Nabokov e Sasha Sokolov, anch’egli un virtuoso dello stile, finalmente in via di pubblicazione in Italia per i tipi di Salani. Alexandra, bionda e sottile trentasettenne, incarnazione di quella che vi aspettereste essere una giovane intellettuale pietroburghese, lo sguardo trasparente e ispirato con lampi di nordica determinazione, mi spiega cos’è successo nell’editoria russa dopo la caduta del comunismo. “Nel ’91 sono nate le prime case editrici private, e si sono dedicate a pubblicare libri che alleviassero la gran sete di letture non controllate dal regime. Si pubblicava di tutto, dal fantasy alla filosofia contemporanea, vendendo enormi quantità di copie. Non c’erano abbastanza stampatori né carta a sufficienza, e la qualità dei libri era molto bassa: in pratica, per noi editori, era più facile vendere che comprare. Poi, nel ’94, anno in cui è nata la Symposium, la situazione si è invertita: è diventato più facile comprare che vendere. Abbiamo cominciato a dover selezionare gli autori anche in rapporto alle richieste del mercato, a scegliere copertine attraenti, a doverci confrontare con i computer, il cinema, la televisione che sottraggono tempo alla lettura”.
Uno scenario analogo a quello che si vive nel resto del mondo occidentale, anche come gusti dei lettori; tanto che ai primi posti nelle classifiche russe troviamo Il codice da Vinci, Harry Potter, e narrativa gialla locale, che qui vede ai vertici il celebre Boris Akunin e Daria Dontsova. Alexandra mi fa notare che oggigiorno in Russia c’è un netto rifiuto degli autori la cui lettura è stata incoraggiata dal regime comunista. Un esempio: il tentativo di Symposium di proporre i romanzi di Italo Calvino è stato un insuccesso, proprio per il suo passato di autore “ufficialmente permesso” durante il comunismo.
La necessità di offrire libri a prezzo molto basso, inevitabile in un paese i cui redditi fuori dalle grandi città sono ancora miserrimi, è atttualmente il più grande problema degli editori russi. I quali, per rientrare nei costi, tendono in gran parte a produrre libri scadenti con traduzioni approssimative. Esattamente quello che è capitato a Il bottone di Puskin della nostra Serena Vitale: la traduzione è stata fatta in maniera fantasiosa, peraltro non dall’italiano bensì da una già malriuscita traduzione inglese, con risultati tra l’assurdo e il surreale. Un esempio tra i tanti: nella versione russa si legge che il poeta (morto, lo ricordiamo, per le ferite riportate in un duello) “non è morto in un incidente stradale”. Ben altra sorte avrebbe avuto il libro della Vitale se fosse stato affidato a Elena Kostioukovitch, traduttrice dei romanzi di Eco e instancabile promotrice della narrativa russa in Italia, doverappresenta gli scrittori russi contemporanei più noti e apprezzati al mondo: Boris Akunin, Ljudmila Ulitskaja e appunto il virtuoso Sasha Sokolov. Frassinelli ha appena pubblicato il thriller letterario di un altro suo autore, che in Russia ha avuto un notevole successo: Animator dello scrittore tagiko Andrej Volos.