Camilla Baresani

Sommario

ISABELLA FERRARI – Vivo il mio corpo con naturalezza

Maggio 2024 - Grazia - Interviste

Isabella Ferrari cresce e matura esperienze, eppure per molti di noi rimane per sempre giovane, come nel verso della celebre canzone di Antonello Venditti, e come già capitò a Catherine Spaak, che per tutta la vita contenne dentro di sé la Lilly del film Il soprasso. E così Isabella: dentro la donna adulta vediamo l’immagine della ragazza stupenda che fa girare la testa agli uomini per la sua freschezza, per l’irresistibile bellezza spontanea, la bionda in bikini dal corpo perfetto, pur senza ore di palestra né diete sulle spalle. La Selvaggia di Sapore di mare. Chi di noi non vorrebbe essere una ragazza così? Probabilmente ci si annoia di essere sempre rimandati a uno splendido passato, come quei cantanti di cui tutti vogliono sentire la canzone che li ha fatti innamorare anni prima, e invece propongono l’ultimo lavoro. Ma Isabella non lo fa pesare, perché tra le tante cose che ha portato con sé c’è una svagatezza consapevole, il desiderio di prendere la vita nel meglio che sa dare, senza forzarne gli sviluppi. 

Lei è nel cast del nuovo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, di cui ancora non è stata fissata la data di uscita, mentre a giorni sarà nelle sale con il nuovo film di Daniele Luchetti, Confidenza, dove interpreta Tilde, un’editrice di libri sulla didattica. 

Confidenza è tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone.  Tilde è una di quelle persone sole, che però non vogliono che si veda e forse lo nascondono anche a sé stesse. È una donna che viaggia per lavoro, cena con i colleghi e poi torna nella sua camera d’albergo, mascherando il senso di vuoto. La sfida era rappresentare questa solitudine nascosta, una condizione psicologica molto contemporanea e universale. 

Anche gli attori viaggiano e passano le notti negli alberghi. Lei sta girando l’Italia in tour teatrale con La ragazza sul divano di Jon Fosse. Ora, dopo le prove e il debutto a Torino, sarà a Milano, Roma, Palermo e Napoli. Si sente sola come Tilde?

Per niente.  A Torino mi fermavano anche al supermercato per chiedere un biglietto, perché c’è stato un vortice di passaparola e abbiamo avuto sempre il sold out. Di nuovo, interpreto una donna sola, abbandonata dal marito. Tutti i personaggi della pièce sono ossessionati dall’abbandono. È un tema che ha creato molta empatia con il pubblico, come una ventata di umanità.

Che differenza c’è tra recitare davanti alla macchina da presa e invece sul palcoscenico?

Ogni volta che reciti in teatro ti metti in contatto con il pubblico, e sera dopo sera ti arriva una parte nuova di te e del personaggio, un aspetto che ignoravi fino al giorno prima. Attraverso il pubblico hai l’opportunità di crescere, come attrice ma anche come persona.  C’è tutto quell’ambaradan che è la paura di recitare dal vivo, la fatica della tournée, e però è un lavoro di compagnia, che condividi giorno dopo giorno. All’inizio ero spaventata dall’impegno. Lasciare Roma e la mia comfort zone, vedere il regista che lavora con altri attori e devi saper aspettare che arrivi il tuo momento. Tutto questo ha a che fare con una forma di umiltà che al cinema non c’è. E quando la ritrovi, ritrovi anche la capacità di ascoltare gli altri.

Nella sua carriera ha fatto decine di film. Li ha mai contati? C’è mai stato un anno in cui non ha lavorato?

No, non li ho contati, però non credo di essere mai stata ferma, senza lavorare. Ho avuto sempre una vita particolarmente intensa, anche perché sono madre di tre figli di 28, 25 e 22 anni, e poi sono molto curiosa, quindi non ho tempo di annoiarmi, non ho vuoti. Però, se analizzo la mia carriera, posso dire che dopo i 50 anni i ruoli interessanti sono diminuiti. La mia agente sostiene che devo invecchiare molto di più, per poi ripartire in quarta con ruoli da nonna.

Ha mai sofferto dell’ansia tipica degli attori, il telefono che non suona, le proposte che non arrivano?

Ho la fortuna di avere una vita molto piena e mi dimentico di me. Due figli abitano ancora con noi e mi sembra di capire che non abbiano fretta di lasciare la famiglia. È stata anche colpa mia, non sono stata molto capace di recidere il filo. 

Suo marito, Renato De Maria, è regista e sceneggiatore, lei attrice. Qualcuno dei suoi figli vuole lavorare nel cinema?

Giovanni, l’ultimo, si è molto appassionato al lavoro dell’attore e sta frequentando il Centro sperimentale di cinematografia. Renato e io siamo genitori che hanno lasciato tutte le porte aperte, compresa la possibilità di sbagliare, abbiamo dato anche la pagina bianca, quello spazio di crescita e scelte autonome che per esempio a me non era stato dato.

Immagino che lei si riferisca a sua madre, che la voleva attrice sin da quando lei era adolescente.

È così. Però devo dire che è questa forma di educazione più libera è anche una possibilità generazionale: io sono cresciuta in altri anni e in un mondo rurale più decentrato, a Ponte dell’Olio, dove le cose bisognava andarsele a cercare. 

Lei ha detto che in passato, all’inizio della sua carriera, le è capito di subire sul lavoro richieste irrituali che oggi sarebbero ritenute molestie.  Soprattutto nel mondo del cinema, all’estero molte attrici denunciano molestie subite magari vent’anni fa. Lei ci ha mai pensato? 

Ma no, credo che non serva a niente, a nessuno. E comunque mi sono sempre abbastanza difesa.  A volte c’è qualcosa di sinistro in queste denunce tardive, si rischia di essere accusati di cercare pubblicità. Diventerebbe un miscuglio di chiacchiere e polemiche che non mi appartiene. Mi piace leggere, mi piace guardare il cielo, mi piace dimenticare. Sono un po’ sognatrice e naïf. 

Quando qualcuno la infastidiva o ci provava, magari proponendo in cambio un lavoro, lei lo raccontava a suo marito o alle colleghe?

Dipende. Mi può essere successo. Sicuramente però vince sempre il nascondere a sé e agli altri. Capisco chi ha difficoltà a parlarne. È come se non verbalizzare il fastidio e l’irritazione li facesse sparire. Ma non voglio affermare una cosa reazionaria, non è una regola ma solo una sensazione personale. Sono convinta che sia iniziata una nuova pagina della storia e che le mie figlie godranno di questo.  Sono stati raggiunti obiettivi fondamentali nel campo della dignità femminile. 

I maschi sono migliorati? Ogni giorno, leggiamo di qualcuno che finisce sotto indagine, attori, calciatori, ragazzini, per aver molestato o violentato e magari essersi approfittati di una ragazza che aveva bevuto troppo. Queste notizie servono a renderli più consapevoli?

Quello che posso sentire con la mia sensibilità e con l’esperienza è che c’è stato un grandissimo cambiamento. Nel mio lavoro siamo iperprotette, forse perché il movimento Me Too è partito proprio dal mondo dello spettacolo. I primi a impedire che le donne fossero messe in difficoltà, sono stati i produttori delle piattaforme internazionali, Sky, Netflix, eccetera. Ormai non esiste più che un’attrice incontri un regista da sola in una stanza, o che si girino delle scene di sesso senza la figura del “coordinatore d’intimità”, che vigila affinché non si creino forzature e imbarazzi mentre vengono girate le scene. Però va detto che con il regista bisogna creare un’intimità, che ci sono cose personali che bisogna raccontargli per arrivare insieme a stabilire come si dovrà recitare un ruolo. Per farlo, bisogna fidarsi del suo sguardo. 

E il produttore che allunga le mani? C’è ancora o è una figura del passato?

No, sono finiti.  È una figura obsoleta. Come potrebbe fare, ormai è circondato da controllori!

Lei e Renato De Maria state insieme dal 1996. Un record, nel mondo dello spettacolo. Come avete fatto?

Penso che esistano incontri che sono anche una fortuna perché vanno al di là della nostra consapevolezza e del nostro cercare. Poi, certo, abbiamo anche fatto sì che la nostra famiglia funzionasse. Io e Renato siamo cresciuti uno accanto all’altra, abbiamo fatto tutto insieme. Forse ci ha aiutato anche il suo non essere un uomo geloso. Non è facile riuscire a stare con un’attrice molto conosciuta e desiderata: bisogna essere sicuri di sé, e questo era una sua caratteristica, non è qualcosa che ha imparato, ma l’aveva già quando ci siamo messi insieme. Poi è stato importante fare figli insieme, ma anche fare dei lavori insieme. 

Suo marito l’ha diretta in decine di puntate di Distretto di Polizia. 

Quel periodo ci ha molto legato, ma poi, per sganciarmi dal personaggio del commissario, Renato ha scritto su di me un film, Amatemi, la storia di una donna che ama gli uomini. È stata un’apertura nei confronti della vita, verso la bellezza che, se si riesce a vederla, è un grande privilegio. E io e Renato sappiamo vederla questa bellezza ed è un elemento di grande forza nella nostra storia.

Ha mai avuto un piano B? Cosa avrebbe fatto se la carriera di attrice non fosse andata così bene?

No, non ci ho mai pensato anche perché non credo di avere nemmeno altre cose che sarei capace di fare. Sono entrata da adolescente nel desiderio di mia madre, che mi voleva attrice. Non ho nemmeno potuto studiare, e ho agito come lei voleva. In qualche modo, ci ha visto lungo perché poi comunque mi sono scoperta sempre più desiderosa di fare questo lavoro, che comunque mi ha permesso di guadagnare, di comprarmi una casa e farmi una famiglia.  Poi ci sono tante cose che mi incuriosiscono e mi piacciono, compreso aiutare gli altri.

Cosa intende per aiutare gli altri?

Mi piace aiutare amici o conoscenti con consigli medici, sono appassionata e mi interessa molto leggere e informarmi sui temi della salute, sui farmaci, sui rimedi.

Un po’ come Carlo Verdone.

Ricordo una volta, di ritorno da un festival del cinema a New York, ero seduta in aereo accanto a Carlo. Hanno annunciato che c’era una turbolenza e io ho cominciato ad avere paura.  Lui allora mi ha dato una pastiglia. Mi sono svegliata dopo l’atterraggio a Fiumicino, e stavo benissimo. Poi un giorno ci siamo rivisti per leggere insieme il copione di La grande bellezza. Gli ho chiesto cosa mi avesse dato nel viaggio in aereo. Era  Serpax 15, ed è l’unica cosa che ho annotato sul copione del film.

Lei ha fatto mostrato liberamente il suo corpo nudo in film e servizi fotografici. Invecchiando, è cambiato il suo rapporto col corpo?

No, lo vivo con la stessa naturalezza e spontaneità di sempre, anche in scena, come nel nuovo film di Sorrentino che ho girato ad agosto.  Lo uso senza timore, uso anche la mia faccia, le rughe. Non che sia felice di invecchiare, chiaramente. Col corpo lavoro tutti i giorni per tenerlo in forma, e anche per questo, per confrontarmi e non sentire troppo l’emergenza mi piace avere amiche donne, le stesse da trent’anni.

Una domanda che forse le è antipatica, anche per quante volte gliel’avranno posta. Quando aveva 17 anni si è fidanzata con un grande della storia dello spettacolo televisivo, Gianni Boncompagni, che aveva 30 anni più di lei. Oggi la cosa farebbe scandalo, perché per difendere i diritti delle donne e degli adolescenti, siamo diventati anche più moralisti. 

In effetti, a 60 anni mi sembra strano dover parlare ancora di una cosa di quando ne avevo 17. Penso che, nel campo dei sentimenti, non ci siano regole che valgono per tutti. Oggi, anche se sono cambiate le sensibilità, non mi impressionerebbe minimamente vedere sul set una ragazzina che si appassiona a un regista di 50 anni. Non ci s’innamora soltanto di un corpo. C’è la stima, l’ammirazione per un talento. Io ero piccola, arrivavo dalla provincia, e grazie a Gianni ho imparato tante cose, tra cui anche un sense of humor e una sorta di distacco che mi sono stati utilissimi. Non avevo fatto scuole, e soo cresciuta imparando anche grazie alla mia curiosità e agli incontri che ho fatto.