Camilla Baresani

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MARTÍ GUIXÉ e il ”food design”

Ottobre 2012 - Io Donna - Corriere della Sera - Interviste

Sempre bello intervistare un visionario. All’inizio lo segui mentre concettualizza e non riesci a figurarti la concretezza delle applicazioni. Poi, quando entri nelle sue svolte mentali, sposi la causa e tutto appare chiaro, realizzabile, da chiedersi come mai nessuno ci abbia pensato prima.

Martí Guixé, è un affermato designer di Barcellona (di sé dice: “il mio mercato locale è l’Europa. Sono completamente transnazionale”), e una parte del suo lavoro di progettazione, quella che gli ha dato più notorietà, è il food design. Vediamo di farci spiegare di cosa si tratta. Partiamo da un esempio.

“Ho sempre desiderato che le cose continuassero a mantenere la loro funzione, però facendone sparire il corpo. L’occasione di realizzarlo si è creata quando mi hanno affidato la progettazione dell’opening di una mostra d’arte, a Utrecht. Ho utilizzato una macchina agricola di quelle usate per nebulizzare l’acqua, e ho prodotto una sorta di nebbia di gin tonic. La gente entrava in una nuvola e poteva bere senza dover tenere un bicchiere in mano. Non c’era nulla di solido. L’abbiamo chiamato GAT Fog Party.

Si sono ubriacati tutti?

 

No, assolutamente. Abbiamo invece fatto delle prove per controllare che, se qualcuno accendeva una sigaretta, l’alcol nebulizzato non esplodesse. Ma l’unico problema invece è stato che lo zucchero dell’acqua tonica si appiccica alla pelle.

Quindi il food design studia e propone modi innovativi di somministrazione del cibo?

In realtà quello che penso è che la gastronomia è obsoleta come forma di nutrizione, e non ha più senso perché è basata solo su sapore e consistenza ma non si è evoluta dal punto di vista funzionale. Di questo si occupa il food design.

 

Cosa intende per “funzionalità del cibo”?

 

Le proprietà funzionali sono le stesse che si applicano a un progetto di design: stabilità, funzionalità, ergonomia, usabilità. Sono parametri necessari anche per progettare una sedia. Un cuoco non li usa perché quello che fa è una produzione artigianale: fa gastronomia, non food design.


E allora quae è l’ambito del food designer?

Si tratta di portare i parametri che le ho appena detto in un processo industrializzato. Nel 2000 ho disegnato i-Cakes: sono torte che usano la decorazione che di solito ha una funzione puramente estetica, per informare sulla lista degli ingredienti della torta. Dicono quello che per noi consumatori è addirittura più importante del gusto.


In Italia lei lavora con Alessi e Danese. L’industria cosa può produrre per il food design?

Per esempio nel 2000 ho creato sistema per cuocere la pasta, che permette di mangiarla con le mani.


E qual è il vantaggio?

Si può intingerla in varie salse, e sedersi a mangiarla chiacchierando con gli amici come se fosse uno snack. Si supera la rigida procedura dei pasti, che ne limita il consumo.


Quando entra in un ristorante cosa le dà più fastidio?

Guardi che non ne faccio un problema di interior design. Penso che i ristoranti abbiano senso come atto sociale, ma è la gastronomia servita nel ristorante che non ha senso: quello che viene offerto è simile a 150 anni fa. È buono, ma esprime soprattutto nostalgia, non racconta nulla di adesso. Un progetto che ho sviluppato con lo chef finlandese Antto Melasniemi è quello dei Solar kitchen restaurant. Sono ristoranti che usano il sole per cucinare. Tutto, anche il cibo, è concepito per usare al massimo le proprietà di cottura dell’energia solare.


Lei è amico di Ferran Adrià, lo chef più famoso e innovativo del mondo. Come si trovava nel suo ristorante?

Secondo me Adrià fa cucina creativa… Però non è food design, perché ti devi sedere al tavolo, e seguire dei rituali che sono antichi. Oggi io parlo con tutto il mondo e non ho bisogno di sedermi vicino al telefonino per farlo. È lui che segue me. Siamo in una società di completa mobilità e anche a cucina deve prenderne atto. I cuochi stanno facendo progressi nello studio dei sapori e delle consistenze. Ma si tratta di elementi che in qualche modo sono tecnici. Quando vado al ristorante mi devo adattare a un servizio, non è il servizio che si adatta a me.


Finalmente mi è chiaro perché elBulli ha chiuso, prima che riuscissi ad andarci!