Camilla Baresani

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CARINE ROITFELD, ”irreverent”

Agosto 2011 - Io Donna - Corriere della Sera - Interviste

Charlotte Casiraghi sulla copertina di Vogue France di settembre? Tutto merito mio. Due anni di lavoro per convincerla e… be’, pazienza. Però Charlotte mi ha scritto un sms: “Mi dispiace, è un tuo vecchio sogno, si è realizzato tardi”.

A raccontarlo, seduta nella sua casa di Parigi, è la celebre Carine Roitfeld, direttrice di Vogue Francia fino a gennaio 2011. Le grandi finestre a volta si affacciano sull’Esplanade des Invalides. L’appartamento è arredato sui toni del bianco e del grigio, col minimo indispensabile. A riempirlo bastano la vista spettacolare e l’esile e svettante padrona di casa, spettacolare anche lei: gran portamento, gambe perfette, occhi verde-palude, sopracciglia folte, denti bianchissimi e solo qualche ruga sulla fronte. Tra pochi giorni, 57 anni. Camicia di impalpabile renna e gonna a tubo in tessuto goffrato che simula il coccodrillo, il tutto marron, di Tom Ford; sandali altissimi di Sergio Rossi: “È la mia uniforme”.

Una che se la incroci per strada ti volti a guardarla e non rimani deluso. Ma di solito non capita, perché gira in macchina con autista, come tutte le donne di potere.

Anzitutto, come sta?

È il mio primo giorno coi tacchi. Sono appena tornata da un mese di vacanza tra Palm Beach – conosce il Parker hotel? Meraviglioso! – e i 40 gradi secchi della Monument Valley, nello Utah. Jeans e sandali bassi. Coi lacci, perché non uso le flip flop. Non sopporto il rumore che fanno.

Oltre a Charlotte Casiraghi, le ha mandato un sms anche Emmanuelle Alt, la sua ex collaboratrice che l’ha sostituita alla direzione di Vogue France?

Con lei non ci parliamo più.

Come mai?

Non ci parliamo più e basta. Se qualcuno ti tradisce tu smetti di parlargli, no?

Pochi mesi fa, la Alt ha dichiarato: “Carine Roitfeld sarà più contenta così, perché è un tipo che ha bisogno di libertà: è la ribelle della classe e odia l’autorità”. È davvero così?

Non è chic parlare di chi ti ha tradito. Si smette di pensarci. È una lezione che ho imparato da mio padre. Per dieci anni sono stata molto felice e in dieci anni abbiamo fatto un grande lavoro. All’inizio nessuno voleva lavorare per Vogue. Non aveva prestigio, né firme importanti, né modelle e fotografi di primo piano. C’eravamo solo io e Mario Testino. Col tempo, abbiamo ottenuto il meglio. Ora spero che si mantenga lo stesso livello. Per me era tempo di partire con una nuova avventura.

È arrabbiata anche con Jonathan Newhouse, il presidente della Condé Nast International che nel 2001 l’aveva assunta a Vogue?

No, lui è un amico. Con lui ho sempre avuto grande confidenza e mi ha lasciato fare tutto, anche le cose più impopolari e irriverenti. Crede che io porti fortuna. Mi ha fatto fare Vogue China e ha avuto successo. Ha fiducia in me, gli piace quello che faccio e mi ha sempre protetto nella mia follia. È stato il miglior partner possibile, e lo ringrazio.

Ma allora com’è andata, chi l’ha licenziata o perché lei si è dimessa? È stato davvero per quelle foto del numero di dicembre, con le bambine troppo provocanti, truccate e coi tacchi? O, come qualcuno ha detto, per via delle sue troppe consulenze con stilisti? O ancora per la sua nota insofferenza per le regole del business, per esempio l’intestardirsi a non dare spazio alle borse, che lei non ama?

Non c’è stato un motivo. Dieci anni sono tanti. Volevo smettere, e forse il momento giusto sarebbe stato nell’ottobre 2010, dopo l’anniversario dei novant’anni di Vogue France. Ma poi mi hanno chiesto di restare ancora un po’, e l’ho fatto. Solo sei mesi dopo che avevo deciso di andarmene, hanno cominciato a dire che ero stata licenziata per il servizio fotografico con le bambine. Ma in America si fanno gare e show con bambini vestiti e truccati da adulti. È stata un’interpretazione cattiva. Sono le tipiche cose in cui si vede quello che si vuole vedere. Del resto, lo so, i bambini sono un argomento molto delicato. Diciamo che Vogue France degli anni ’70 era molto provocatorio e pieno di grandi firme trasgressive, da Cocteau alla Sagan. Io ho provato a tornare a quella qualità e a quella libertà di provocare. Ma ora sono cose non più possibili.

Qual è il limite oltre cui non bisogna spingersi nel promuovere la moda?

Ho fatto bondage, ho giocato sull’ambiguità dei sessi e sullo scambio di identità, ho fatto molte immagini sexy. Tutto è possibile: puoi usare transessuali e donne vecchie, ma non mandare messaggi negativi. Non ho mai fatto cose contrarie alla mia etica di madre. I ragazzi sono come spugne, assorbono tutto. Evito i messaggi che possano evocare temi come droga, suicidio, anoressia, violenza. Facevo foto con sigarette, ora non più.

Ho visto anche foto di modelle macellaie, con carne sanguinolenta e coltelli…

Erano ironiche. Per me le foto sono il luogo delle fantasie, dei desideri e delle ossessioni. Altrimenti sono noiose. Poi la vita è un’altra cosa. Dicono che ho inventato il porno-chic, ma preferisco dire l’erotico-chic.

Tornerebbe indietro? Ha rancori o rimpianti?

No, ho troppi progetti e impegni. E sono così felice delle cose che sto facendo! Sono una persona positiva, non vendicativa.

In effetti, Carine sorride del sorriso energico di chi va di fretta, anche nel raccontare. Ha tante cose da dire e una vita troppo movimentata per perdere tempo a rammaricarsi. Dicono che farà una rivista online, e intanto è diventata editor e stylist dei grandi magazzini Barneys New York. Ha curato la campagna pubblicitaria autunno/inverno, il cui titolo è “Carine’s world”, è ne è anche testimonial con i due figli – Julia di 31anni e Vladimir di 27 -, fotografati in un bianco lattescente da Mario Sorrenti. Il 4 ottobre, poi, uscirà per Rizzoli International irreverent, un libro-album con una lunga intervista a Olivier Zahm, direttore di Purple in fashion, e con 250 pagine di fotografie private e lettere, appunti, bigliettini (incredibile la grafia ampia, grossa e grassa dell’asciutta Anna Wintour). E poi una selezione dei suoi migliori servizi fotografici e copertine e campagne pubblicitarie, in cui la cosa evidente è l’assoluta contrarietà di Carine alla monotonia, la dedizione a uno stile tagliente, assertivo, audace, che dissacra le convenzioni borghesi pur rimanendo nel pieno del canone borghese – ché altrimenti a chi li vendono poi i vestiti? Una funambola della sovversione. D’altronde, ha dichiarato: “A me non piace creare abiti, ma spingerli sino al limite delle proprie possibilità”. Così come come Georges Simenon: “Abbiamo in noi tutti gli istinti dell’umanità. Ma li freniamo in parte, per onestà, prudenza, educazione, talvolta solo perché non abbiamo l’occasione di agire diversamente. Il personaggio di romanzo va fino al limite di se stesso”.

Come mai un libro, adesso?

In realtà doveva essere pronto un anno fa, ma non avevo mai tempo di andare in soffitta e aprire gli scatoloni e scegliere tra tutte quelle pagine di giornale, biglietti, fotografie di famiglia. C’è voluto molto più tempo del previsto. Comunque l’idea non è stata mia, ma di Olivier Zahm. Io non guardo mai indietro, sono troppo concentrata sul futuro.

Il libro è dedicato a suo marito, Christian Restoin (sul citofono di casa: Mm e Mr CR) detto Sisley – anzi, al suo non-marito, dato che non siete sposati da più di trentanni…

Non mi sono sposata perché il mio cuore appartiene a mio padre. Nella vita della moda non hai un weekend libero, tutto è mischiato ed è difficile avere una famiglia. Ma io e Sisley e i nostri figli siamo un vero clan, e la cosa mi rende più forte. Tra i membri del nostro clan c’è tenerezza e fiducia.

Nella dedica c’è un appello perché lui tenga duro nella decisione di smettere di fumare. “You are still sexy without a cigarette”.

Fumava due pacchetti al giorno. Ha smesso da sei mesi. È stata molto dura, per lui e per me.

Che lavoro fa suo marito?

Quando sono diventata direttrice di Vogue, lui ha venduto l’azienda di abbigliamento che aveva fondato, Equipment. Ora incassa le royalties ed è il mentore di un suo amico che ha ripreso in mano l’azienda. Soprattutto si occupa della cucina e della casa e del business famigliare. Io ho la parte divertente del lavoro, mentre lui sta nell’ombra. È il mio suggeritore. Per esempio l’idea di dedicare un numero di Natale a Sofia Coppola è stata sua: il miglior Christmas issue che abbia mai fatto.

Proprio mentre ne parla, sento girare le chiavi nella toppa. È il non-marito che entra in casa. Un bell’uomo, capelli semilunghi e aria stazzonata da cantautore sovversivo francese; jeans stretti e un po’ arricciati in fondo, giacca, scarpe con la una punta lunga e leggermente all’ insù.

Cosa pensa di Anna Wintour?

Ho lavorato con lei e mi è piaciuto. È molto decisa e molto onesta. Se non le piace una cosa, alza il telefono e lo dice. Ha un grande potere decisionale. Del resto, Vogue USA è venti volte più grande di Vogue France. Lei non è una stylist come me. Lei è un politico e una persona di potere. Dirige il giornale in maniera più normale di come facevo io. Conosce un sacco di persone importantissime ed è un’ottima madre. Quando sono andata in America mi ha dedicato otto pagine di Vogue per presentarmi ai lettori. E quando si è saputo che lasciavo Vogue è stata la prima a chiamarmi. Tenuto conto del fuso orario, vuol dire che era in ufficio molto molto presto.

Ma è vero che lei aspirava al posto della Wintour? Anche nel film “Il diavolo veste Prada” tra voi due c’è rivalità…

Sono molto francese, quindi non avrei mai potuto dirigere Vogue USA. In America non sono ancora pronti a mostrare neanche l’ombra di un capezzolo in una foto.

E Carla Bruni? La trova elegante?

Non è il mio tipo. Non sono molto interessata al modo di vestire di Carla. Troppo uniforme da first lady. Però ha charme, parla un sacco di lingue ed è particolarmente sveglia. È sempre la stessa che ho incontrato vent’anni fa. Colta, alla mano, parla con tutti. La preferivo prima, quando vestiva in jeans e cachemire. La conosce? È di una bellezza inimmaginabile. Con quelle gambe e quel corpo, non ha bisogno di altro. È una seduttrice. Può sedurre chi vuole. Uomini e donne.

Carine Roitfeld è una cosiddetta fashion icon. Quando va alle sfilate, la gente guarda come è vestita lei ancor prima di guardare le nuove collezioni in passerella. Ha dato allure alla figura degli stylist e degli image maker, professione ritenuta  da backstage fino a una decina d’anni fa, mentre ora i migliori sono diventati loro stessi l’immagine della moda. È  stata la musa di Tom Ford per Gucci e YSL, e di Riccardo Tisci per Givenchy. Molto più che una ex direttrice di Vogue France: è un personaggio, una trend setter.

Con chi ha lavorato meglio sinora?

Con Tom Ford e con Mario Testino siamo stati un trio perfetto.

È vero che a Vogue aveva un contratto da un milione di euro all’anno, fattole ottenere da Tom Ford?

A Vogue si lavora molto ma non si guadagna molto. Però sei trattata come una principessa e vai nei posti migliori. Non ti arricchisci ma hai un sacco di gente che si occupa di te. È una vita facile, c’è persino chi ti cambia la batteria del Blackberry.

Come consiglia di vestirsi?

Soprattutto di nero. Con quello non si sbaglia mai. E poi un po’ di beige. A una certa età è opportuno allungare l’orlo delle gonne, al ginocchio. A me piacciono i tacchi 12, i vestiti aderenti che scolpiscono il corpo, le calze con la riga.

Chi sono i suoi stilisti preferiti?

Tom Ford. E Riccardo Tisci. E Alaïa, l’unico che cuce tutto a mano.

Cosa considera volgare, bling bling?

Il total look e l’eccesso di oggetti lussuosi, la profusione di coccodrilllo… ogni cosa che sembra troppo costosa.

E della chirurgia plastica cosa pensa?

Io mi tengo le mie rughe, le vede? Però non voglio criticare gli altri. Sappiamo che è una cosa che dà dipendenza: quando inizi, non riesci più a fermarti. Penso che non bisogna fumare, che sia opportuno fare delle cure estetiche e sia molto importante avere un bel portamento. Avere un modo elegante di porsi è molto meglio che togliersi le rughe e pomparsi il seno e le labbra.

Che dieta segue? Caviale e champagne, come si è letto?

Non bevo champagne. Non mi piace. Preferisco la vodka. E il caviale sì, mi piace molto. Ma Karl mi ha detto…

Karl Lagerfeld?

Sì. Mi ha detto che fa gonfiare le occhiaie, perché è pieno di sale. Per il resto mangio tutto, meno i dolci, che non mi piacciono.

Cosa ha nel frigorifero?

Non lo so. Se ne occupa mio marito. Cucina lui. Del resto, se dovesse aspettarmi per mangiare morirebbe di fame.

Mi lascia dare un’occhiata al suo guardaroba?

Anziché tirarmi un sandalo contundente, Carine si alza, mi accompagna nella sua camera da letto e mi mostra un armadio a otto ante, bianco e molto semplice (unica ricercatezza, la luce interna che si accende quando lo apre), alto poco più di lei. Tutti i vestiti compressi,  molto nero, e una confusione di sandali meravigliosi stipati sopra e sotto gli abiti. Estrae un vestito nero, lungo e aderente, tagliato a spicchi e con l’orlo che termina in due piccoli strascichi ai lati. “È di Galliano, l’ho da anni. È il mio preferito. Lo uso sempre quando non so cosa mettermi. Come certi vestiti di Comme des Garçons. Puoi tenerli per anni”. Apre qualche cassetto di lingerie (“La lingerie mi piace moltissimo. Aprire un nuovo pacco di collant è una delle cose migliori del mondo”), di cui uno stipato di sottovesti. Riconosco la location di una foto del libro in cui lei, nuda con solo un tanga nero e décollté bianche con tacco, svetta accanto a un cassetto di reggiseni, aperto. Nella foto sembra un super guardaroba, una stanza apposita. Nella realtà l’armadio – non più grande di quello di una qualsiasi di noi – è montato dietro la testata del letto, con uno stretto corridoio di passaggio. Potere della fotografia. Del resto, cos’altro potresti aspettarti dalla musa di Mario Testino, una che sostiene che con lui ha avuto un accordo à la Antonioni-Vitti o Rossellini-Bergman?