Camilla Baresani

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DIEGO DE SILVA – Ma le corna virtuali contano?

Giugno 2017 - Io Donna - Corriere della Sera - Interviste

È uno degli scrittori italiani di maggior successo, benché nelle pagine dei suoi romanzi non si incappi né in morti ammazzati né in commissari e bande criminali, come invece vorrebbe il mainstream delle classifiche di vendita. Diego De Silva è piuttosto il re della commedia: chi legge i suoi libri sorride, anzitutto di se stesso, perché nelle traversie e nelle goffaggini dei protagonisti, trattate con tono ironico e affettuoso, trova sempre considerazioni e inadeguatezze in cui riconoscersi: disavventure sentimentali, lavorative, familiari, di approccio col mondo. Protagonista e antieroino di quattro dei suoi romanzi – compreso “Divorziare con stile”, oggetto di questa intervista -, è l’avvocato napoletano Vincenzo Malinconico, squattrinato, precario, pasticcione e soprattutto sottile osservatore della vita. De Silva è scrittore di trame e intrecci su cui fioriscono digressioni sociologiche, psicologiche, filosofeggianti, sempre sottese di umorismo. Prende gli episodi della vita e li analizza in tono beffardo e smaliziato, estraendone massime o perle di saggezza.

Anche “Divorziare con stile”, come gli altri suoi romanzi, è pieno di notazioni estratte dal materiale umano e dagli inciampi della vita quotidiana. Come nasce questa sua vena narrativa filosofeggiante?

È un atteggiamento che deriva dall’esigenza dei miei protagonisti di contenere le fregature offerte dalla vita. Rendendo astratto un fatto specifico, è come se il suo potenziale dannoso si disperdesse e anziché una sciagura personale diventasse patrimonio e categoria dell’umanità.

Ricordo che qualche anno fa, a una premiazione del Premio Malaparte, una lettrice ha svelato di avere tatuato sul corpo una frase tratta da un suo libro. Quel giorno c’erano molti scrittori, e a nessun altro era mai capitato di essere stato altrettanto “incisivo”. Di che frase si trattava?

Era una citazione presa dal primo romanzo in cui compare l’avvocato Malinconico, “Non avevo capito niente”. Si trova nelle pagine in cui descrivo l’amore come una malattia autoimmune – la più diffusa sulla faccia della terra -, una malattia della dignità che infierisce su quegli innamorati che non si rassegnano alla fine di una relazione. Persone che diventano come i fan di Elvis Presley, un genere specifico di sostenitore appassionato che non riconosce la morte del proprio idolo.

Malinconico è un avvocato che non riesce a sbarcare il lunario. Appartiene a una categoria di liberi professionisti precari, oggi in aumento esponenziale. Lei stesso, prima di diventare scrittore, è stato avvocato.

Ci sono tanti avvocati che guadagnano meno di quindicimila euro all’anno, meno della badante della nonna. Sono un nuovo proletariato. Ho creato il precario Malinconico ormai dieci anni fa, e col tempo è diventato un idolo degli avvocati (di quelli veri). La letteratura ha questa grande forza, di anticipare il racconto sociale. Anziché serializzare uno sbirro, come fanno i giallisti, ho serializzato un professionista precario. La sua è una precarietà totale, perché una vita lavorativa instabile tracima nel resto dell’esistenza e si imprime nelle vicende di famiglia, nell’amore, nel rapporto con i figli.

Malinconico ha spesso a che fare con i guai dell’amore, sia i propri sia quelli degli altri. In “Divorziare con stile” gli tocca una causa di separazione che riguarda un tema di grandissima attualità: le corna virtuali.

Questa volta Malinconico viene ingaggiato dalla moglie di un avvocato ricco e cafonissimo, che vuole liquidarla con un piatto di lenticchie perché ha scoperto che lei vive una storia virtuale. Pensi che ancora oggi la Cassazione non ha risolto una domanda di fondo: il tradimento esclusivamente tecnologico, cui non sia seguita la consumazione di rapporto sessuale, dà luogo all’addebito della separazione?

Se andiamo in un’aula di tribunale nel giorno delle separazioni, scopriamo che quasi sempre il materiale probatorio portato per tentare l’addebito è raccolto su Facebook. Oggi c’è una quantità enorme di persone che ha rapporti solo virtuali, fatti di messaggini, email e WhatsApp. Si sceglie volontariamente di non incontrarsi, cercando soddisfazione al desiderio in modo virtuale. E la questione che Malinconico deve affrontare è: questo è un tradimento? Un giudice può entrare in una proiezione che è individuale e personale, in un fatto puramente mentale e dichiararlo una colpa?

Lei è anche sceneggiatore. So che ultimamente ha lavorato sulla riduzione di un suo romanzo.

Il film uscirà in autunno ed è tratto da “Terapia di coppia per amanti”. Ci saranno Ambra Angiolini, Pietro Sermonti, Sergio Rubini, Franco Branciaroli e, come special guest, Alan Sorrenti che canta “Figli delle stelle”.

Di nuovo l’amore e suoi stati patologici?

Racconto la storia di quello che si potrebbe definire un grumo nevrotico, cioè una coppia. In questo caso, si tratta di una coppia clandestina, con problemi di insoddisfazione e conflittualità in fin dei conti analoghi a quelli dei matrimoni regolari.