Camilla Baresani

Sommario

ALAIN ELKANN e “Il fascista”.

Ottobre 2016 - Grazia - Interviste

A sessantasei anni Alain Elkann ha pubblicato più di quaranta libri, oltre ad aver scritto un numero incalcolabile di articoli e interviste. Se nel corso della vita c’è una cosa a cui è stato più che fedele, è il mestiere di scrittore, che desiderava fare sin da bambino.

Fedeltà è una parola che tornerà continuamente in questa intervista: fedeltà alla scrittura, al modo in cui praticarla (sempre su dei quaderni), a un diario, a un editore, a un genere di donne, ai figli. E Fedeltà potrebbe anche essere il titolo del suo ultimo romanzo, che invece si chiama, con titolo più forte, Il fascista (Bompiani editore).

È la storia di Italo Veneziani, un gentiluomo seducente, con talento di pianista, bravo ballerino, studioso di Bisanzio. Lo incontriamo mentre soggiorna nella dépendance di una villa di Mentone, alla fine degli anni Trenta. È lui il fascista del titolo, e sulla sua figura, sui segreti e sul suo destino indaga tanti anni dopo Pierre, un giornalista che, per motivi familiari, è indirettamente legato a Veneziani. Un giorno, per caso, Pierre viene a sapere che il fascista non è morto, o perlomeno che non è successo quando e nel modo che si credeva.

A cosa è fedele il protagonista del romanzo?

Veneziani è un fascista della prima ora, un amico di Mussolini. Ma non è un opportunista. Nel momento del trionfo, quando vengono promulgate le leggi razziali e il Duce si allea con la Germania, Veneziani dissente. Rimane fascista e lo rimarrà tutta la vita, ma scende dal carro perché smette di riconoscersi nelle scelte di Mussolini. Il suo fascismo resta quello originario, e allora si autoesilia in una villa, diventando un personaggio marginale. Alla fine della guerra, invece di scegliere come molti altri di andare avanti, di riapparire magari diventando democristiano, sparisce. Si dice che sia morto, assassinato dai fascisti oppure dai partigiani. Veneziani non è un borghese normale, non si adatta al mondo. Non desidera la ribalta e non è attratto dal successo.

Il fascista è anche una storia di persone trascinate dal vento della storia, che si spostano continuamente nel corso della vita, che cambiano mogli, mariti, amanti. C’è la Costa Azzurra, Tel Aviv, Gerusalemme, Patmos, Parigi, Londra, Arles, la Camargue, gli Stati Uniti… Anche lei ha cambiato amori, residenze, figure familiari di riferimento. C’è qualcosa di autobiografico in questa storia, magari nel personaggio di Pierre, il giornalista che indaga sulla morte presunta di Veneziani?

I personaggi e l’intreccio del romanzo sono verosimili ma di fantasia. Credo che non si possa parlare di ciò che non si conosce senza suonare poco credibili. I lettori si accorgono se le atmosfere sono finte. Io vivo a Londra e insegno alla Penn University di Philadephia ma mi sento torinese. Sono nato a New York, ho vissuto in Francia, a Torino, a Roma. Sono figlio di genitori separati che hanno avuto altri figli. Non saprei raccontare una vita che si svolge sempre nella stessa città, nello stesso ambiente.

Lei è il padre di tre figli molto noti, nipoti dell’avvocato Agnelli: John, Lapo e Ginevra. Siete una famiglia come quelle di questo romanzo, tutti lontani ma vicini a dispetto degli eventi?

I principali protagonisti di Il fascista – Veneziani, Marie e la loro figlia Alice – sono uniti nonostante gli eventi storici li abbiano allontanati. Nessuno chiede niente all’altro, nessuno recrimina, sono liberi. Si vogliono bene e basta. Io ho un rapporto molto affettuoso con i miei figli. Sono sempre presenti e partecipi, vengono alle presentazioni dei miei libri, mi leggono, benché io abbia un percorso di vita molto diverso dal loro, che sono degli imprenditori. La nostra è una famiglia unita e solidale.

Ai suoi figli ha insegnato il piacere della lettura?

Leggere è una moltiplicazione di vite, un’abitudine a cui sono abituato sin da bambino. Ma i miei figli non amano i libri perché glielo ho imposto, deve essere successo per osmosi. Ho notato che leggono anche i nipoti più grandi: hanno delle loro piccole biblioteche, e benché siano nati nella generazione di internet, hanno un rapporto con il cartaceo oltre che con il digitale. Leggono giornali di carta, e se gli si regala un libro non sbuffano, anzi sono molto contenti.

Nel romanzo, Marie, Alice e Italo sono uniti da un segreto. Lei ha un segreto che condivide con i suoi figli?

Ci sono i miei diari, un’opera che non è mai stata letta ma che prima di decidere se pubblicare condividerò con loro. In ogni caso, resteranno ai miei figli. Per me, tenere un diario è un modus vivendi. A volte scrivo poche righe, a volte pagine. C’è una scrittura pubblica, libri e giornali, mentre il diario può contenere uno sfogo, degli schizzi, dei promemoria. Il diario è un amico cui sono fedele. Un amico muto, che mi accompagna e che i miei figli potranno leggere così come io faccio con il diario di mia madre.

Dove tiene i diari e i quaderni su cui ha scritto tutti i suoi romanzi?

In banca, ma qualcosa è anche nella casa di famiglia, a Moncalieri.

Molti autori cambiano frequentemente editore. In questi ultimi mesi la sua casa editrice, la Bompiani, ha cambiato proprietà più di una volta. Le resterà fedele?

La Bompiani è la mia casa editrice da tanti anni e non la lascerò. Non mi piace abbandonare la nave nel momento della difficoltà. Ora poi ha un nuovo proprietario, e spero che saprà valorizzarla. E poi le sono fedele anche perché era la casa editrice di Moravia, che considero il mio maestro.

Con le donne mi sembra che la sua fedeltà vacilli. Ha avuto moltissimi amori, benché lei sia un raro caso di uomo di successo di cui non si conoscono innamoramenti per giovani donne.

Mi sentirei ridicolo con una donna dell’età dei miei figli. In realtà io sono fedele al mio lavoro, alla mia famiglia e anche alla mia generazione. Con una donna della mia generazione posso condividere moltissime cose. Insegnando sono a contatto con giovani, sono anche amico degli amici dei miei figli, e i miei nipoti mi aprono una finestra sul loro mondo… Poiché sono una persona curiosa tutto questo mi piace moltissimo. Però non mi sento un bambino, né un ragazzo: ognuno ha il suo ruolo. Se tu stai bene nella tua pelle, se sei un uomo che non ha bisogno di tingersi i capelli, se sei nonno e lo vivi bene, è meglio dividere la vita con chi può capirlo e non ha esigenze diverse dalle tue.

Quando si lascia con una donna, restate amici?

Le storie si esauriscono per mille ragioni diverse, e di solito è una sensazione comune anche se vissuta in modo e con tempi diversi. Ma non c’è ragione per cui si smetta di volere bene a una persona con cui c’è stato amore.

C’è un motto, una citazione che ispira la sua vita?

Si è fedeli alle radici, alle origini, però la vita è domani. Moravia mi ha insegnato una frase di Baudelaire: “Fino in fondo all’ignoto per trovare del nuovo”. Ma suona meglio in francese: “Au fond de l’Inconnu pour trouver du noveau”.