Camilla Baresani

Sommario

ZURAB TSERETELI, il monumentalista

Febbraio 2003 - Il Sole 24 Ore - Domenica - Interviste
“Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. E se quelli a cui piace sono, tanto per buttare lì qualche nome, Clinton, Putin, il direttore generale dell’Unesco, la Thatcher e Major, la regina di Spagna e Alessio II (Patriarca di Mosca e della Chiesa Russa), restiamo strabiliati e cerchiamo di saperne di più.
Colui che ha creato questo miracolo, cioè quello di accordare nel gusto i potenti della terra degli ultimi quarant’anni, è l’artista Zurab Tsereteli, georgiano di Tbilisi, ma residente perlopiù a Mosca, Parigi e New York. Architetto, pittore e scultore monumentalista, è presente con le sue opere in buona parte dell’orbe terracqueo, e nelle collocazioni più prestigiose. Ora persino a Roma, con una statua di Gogol posta in cima alla scalinata davanti alla GNAM (acronimo per Galleria Nazionale di Arte Moderna). Ma è nelle città in cui abita, che ha lasciato i segni più abbondanti e vistosi. A Mosca, dov’è anche Presidente dell’Accademia di Belle Arti, c’è da 5 anni una statua di Pietro il Grande, primo imperatore russo, alta 100 metri e visibile da ogni punto della città. Ovviamente non sono mancate le polemiche e il finanziere russo in esilio a Londra, l’ex re delle tivù Boris Berezovskij, è l’istigatore di un’aggressiva campagna stampa contro Tsereteli e il suo grande amico e sponsor Yuri Luzhkov, sindaco di Mosca. Ma l’artista, che ha acquistato l’ex sede dell’ambasciata tedesca e colà risiede, è inarrestabile e ha appena ottenuto di mettere una sua ennesima statua al centro della Piazza Rossa. Sfogliando il suo catalogo, cioè 4 pesanti volumi rilegati, uno dei quali è dedicato alle foto coi vip, nello stile di Stefania Ariosto, si resta strabiliati dal miracolo della sua trasversalità. E’ fotografato sorridente con Breznev, Gorbaciov e Eltsin. Ha dunque attraversato, restando sulla cresta dell’onda, ogni rivolgimento storico. Oggi riesce a essere in rapporti idillici con Lutzhkov e con Putin, che per la prima volta nella storia russa gli ha permesso di esporre oltre 100 dei suoi quadri al Cremlino. E tra Lutzkov e Putin non corre buon sangue, da quando furono rivali alle elezioni presidenziali. Tsereteli, inoltre, è amico di Bush padre e amicissimo di Bill Clinton, che sta sponsorizzando l’acquisto di una sua mela di 32 metri con scene peccaminose sulla buccia, da collocare nella Big Apple, cioè a N.Y.C. Dove c’è già una sua grande scultura, di fronte al palazzo dell’ONU, un San Giorgio che vince sul drago tra frammenti di missili americani e russi, simbolizzante la fine della Guerra Fredda. Intimo della famiglia Kennedy e in particolare di Ted, ha intrattenuto rapporti affettuosi con madre Teresa di Calcutta, di cui ha regalato una statua a un convento di Tbilisi. Una delle sue manie, l’uomo nuovo del suo tempo, cioè Cristoforo Colombo, sta a Siviglia dentro un uovo di metallo di 45 metri, e in versione un po’ ridotta davanti all’ONU a Parigi.
Ma torniamo alle fotografie: con Pelè e con Cassius Clay, con Baker e Shevarnadze, con O. J. Simpson e De Niro, con Chagall e Rauschenberg, con Mastroianni e Celentano, con la figlia e i parenti georgiani, a forza di sfogliare ti prende un senso di spaesamento e vertigine. Come Zelig, il personaggio reso famoso da Woody Allen, è stato con chiunque e dappertutto. L’occhio infine si ferma su una fotografia che lo ritrae, beato, tra i suoi adorati molossi: e quelli, come spesso capita tra cane e padrone, gli assomigliano straordinariamente. Di statura media, ben nutrito, con l’espressione accesa e soddisfatta del contadino arricchito, a me ricorda Pacciani, che infatti non aveva assolutamente i tratti feroci del serial killer dei film. Sulla faccia di Tsereteli è stampata un’espressione di curiosità golosa ed energica, la stessa con cui guarda le donne e i fiori e le piante, che continuano a ispirare il suo senso artistico. Con totale disinvoltura porta a spasso il mito di se stesso, debitamente ingioiellato e con dimore all’altezza delle sue frequentazioni. A Mosca ho potuto visitare il suo immenso studio dov’era in lavorazione la melona, l’abitazione (con 4 sale da pranzo sempre apparecchiate a scalare, da 50 posti fino a 10), il recinto dei molossi, il Moscow Museum of Modern Art (che raccoglie i quadri da lui donati alla città, da Picasso a Chagall a Rauschenberg), e il suo museo personale. Con una curiosa statua in bronzo di Luzhkov vestito da tennis, in cui i visitatori italiani credono di riconoscere Mussolini, per via del capoccione grosso e pelato. A New York possiede due piani della Trump Tower e una villa a Long Island. A Parigi il sindaco gli ha consegnato la Medaglia Vermeil, l’onorificenza più alta, una specie di Ambrogino d’Oro. Tsereteli è persino ambasciatore dell’Unesco e, come i capi di stato, non riesce mai a star solo: tra collaboratori, nipoti, fidanzate, guardie del corpo, postulanti e fotografi, si muove sempre con un minimo di 3 auto piene, e a Roma, dove l’ho incontrato, occupava col suo staff una decina di stanze dell’Hotel de Russie.
“L’arte per l’arte è il mio motto”, mi riferisce l’interprete. Infatti, nonostante le relazioni internazionali, Tsereteli parla solo russo e georgiano. Il senso non mi è particolarmente chiaro, anche perché questa è la sua risposta a una domanda sulla dittatura comunista. Lui allora precisa che nessun regime può creare una barriera per la vera arte, che comunque non ha idee politiche, e la libertà prima e dopo l’ha sempre trovata nel suo studio. La ricchezza non ha importanza (il suo patrimonio, mi dicono, è valutato in 300 milioni di dollari), e il successo si spiega con la sua grande attitudine al lavoro: infatti dorme pochissimo, non più di 2 o 3 ore al giorno. “Ahi!”, penso, con le mie 7 ore non ho speranze.
Stupita del fatto che i governanti di mezzo mondo, dal Giappone all’Uruguay, abbiano acquistato sue sculture, finisco per scoprire l’arcano: è quasi sempre il governo russo a regalare le statue, anche nel caso del Gogol romano. E a caval donato non si guarda in bocca. Per dimostrarmi che deve il successo all’eccellenza artistica, Tsereteli fa notare che nell’URSS non potevano esserci collezionisti, e si emergeva solo con le esposizioni e le competizioni tra artisti. Constato, senza dirlo, che a lui è riuscito di farsi collezionare dal governo russo.
Ma qual è lo stile di Tsereteli? Quadri, sculture, pannelli di vetri colorati, mosaici e smalti, sono nel campo di un figurativo assai lontano dal realismo socialista: le sculture poi, appaiono decisamente “fantasy”, ma del resto il kitsch è sempre piaciuto al potere. I quadri, invece, vanno dall’espressionismo all’impressionismo e certuni, così carichi di grumi di colore e fiori, mi hanno ricordato le cartoline che un’associazione vendeva ogni anno a mia nonna, dipinte con la bocca o col piede da poveri mutilati. Il disegno era preciso, diligente, mai astratto, e i colori vivacissimi. L’arte di Tsereteli è un pastiche di stili che va dalle icone fino al contemporaneo, all’insegna di un eclettismo intriso di elementi di megalomania bizantina. E infatti la sua assidua frequentazione di capi di stato e primi ministri, evoca il ruolo dell’artista nella tradizione teocratica di Bisanzio. Dunque, con fantasia gogoliana, nel 2003, a Villa Borghese assistiamo a un ulteriore anacronistico incontro tra i due Sacri Romani Imperi.