Camilla Baresani

Sommario

DAVID GANDY

Giugno 2011 - Amica - Interviste

Avevo letto le sue risposte ad altre interviste, e tutto girava intorno alle ore di palestra, al regime alimentare, ai trucchi per tenersi in forma: niente di avvincente, insomma. Perciò, quando mi sono trovata di fronte a quello splendido ammasso di carne soda e ossatura imponente che è David Gandy, ho pensato di non annoiarvi (e non annoiarmi) ulteriormente con domande su come faccia a mantenersi così, e gli ho chiesto invece quali fossero le sue origini: dimmi chi sono tuo papà, e tua mamma, e i tuoi nonni e i tuoi fratelli. Immaginavo di poterne ricavare una bella storia di evoluzione o devoluzione sociale, un drammone a lieto fine, qualcosa di più narrativo rispetto agli esercizi per i deltoidi. Be’, cosa mi ha risposto David Gandy? “Assomiglio al mio bisnonno scozzese, dunque con lontanissime radici spagnole come tutti i celti. Ma gli zigomi sono della zia inglese, gli occhi della mamma…”: cose più o meno così, o in un altro ordine, tanto fa lo stesso. Questo magnifico esemplare della specie umana dev’essere ormai così ossessionato dalla propria bellezza – dal lavoro per mantenerla, per incrementarla, per raccontarla e per venderla – da avermi frainteso e aver pensato che, invece delle radici della sua storia psicosociale, volessi conoscere quelle della sua storia genetica. Capite cosa vuol dire essere concentrati, avere successo, mantenerlo? Se c’è una cosa che mi è stata chiara dopo aver passato un’ora accanto a lui e ai suoi occhi blu e alla sua barba studiatamente di due giorni – e al suo maglioncino di impalpabile cachemire azzurro nebbia portato a pelle, così, per difendersi dai rigori dell’aria condizionata – è che David Gandy non è un modello nella vecchia accezione anni ’80, bensì un industriale ossessionato dalla produzione e scaltrissimo nel venderla, fissato col brand e deciso a promuoverlo in tutto il mondo. Dunque è l’imprenditore e al tempo stesso il prodotto, il macchinario e l’operaio, il pubblicitario e il testimonial. David Gandy è un rarissimo caso di persona che concentri in sé tutta la forza e tutti i ruoli di una multinazionale.

Vi chiederete come sia dal vivo il modello più famoso del mondo, colui il cui spot pubblicitario per un profumo D&G è stato cliccato quasi 12 milioni di volte su internet. Posso garantirvi che, benché vestito, appare proprio come quando esce dalle acque, con lo slippino bianco, davanti ai faraglioni di Capri. Anzi, meglio. Se nella pubblicità, con lo scopo di eccitare i consumatori di entrambi i sessi, viene accentuato da una scaltra regia il suo coté muratoriale, quell’aspetto di forza grezza conquistata lavorando in cantiere, dal vivo pare più aggraziato, pensoso, e, per via degli occhiali (è miope), se non addirittura intellettuale quantomeno sognante. Impossibile tuttavia non notare, mentre mi parlava col gomito sinistro poggiato sul ginocchio, la tensione muscolare che gli metteva in rilievo la spalla, gonfia di muscoli e di ossa, grande come la testa di un uomo adulto e francamente impressionante per il richiamo a quella di un bronzo di Riace.
“Siamo tutti padroni di noi stessi,” mi dice, spiegando la situazione economico-lavorativa della sua famiglia. “I miei, che erano di origini umili, si sono impegnati duramente tutta la vita. Me li ricordo sempre al lavoro, anche di sera, nel tentativo di conquistare ogni volta qualcosa di più. Oggi hanno imprese di spedizione, proprietà immobiliari, agenzie di viaggi. E mia sorella, che ha tre figli che adoro, ha un ristorante in Spagna e molti interessi economici in Thailandia”. Ecco perché sente la necessità di restituire al mondo un po’ di tutto quello che la vita ha dato a lui e alla sua famiglia, impegnandosi in diversi progetti umanitari in favore di bambini e animali.
Cerco di estorcere al bel David qualche indicazione sul tipo di donne che gli piacciono (non si sa mai che possa tornare utile alle lettrici). Ma è un osso duro: ha fatto del suo marchio una religione, e vuole quanti più fedeli possibile. Niente e nessuno dev’essere escluso dal culto/business. Cosa non gli piace? Nulla. “Piuttosto ci sono tante cose che mi piacciono e che non riesco a fare per via del lavoro, per esempio essere presente alla nascita dei nipoti o a un evento famigliare”. Ritento. Le donne ti piacciono brune o bionde, skinny o curvy? Niente. “Sono uscito per anni con modelle alte e magre e brune e ora sto con una cantante (Molly, ndr) piccola e bionda”. Come preferisci che si vesta una donna? Silenzio. Insisto. Immagina di essere in un bel locale, e che a un tavolo vicino al tuo ci sia una donna affascinante, sola: cosa indossa quella donna? Silenzio, di nuovo. Coi jeans e le infradito? Con un vestito e i tacchi? Alla fine, risponde: “Tutte le ragazze che frequento amano i miei cardigan più costosi, quelli di Dolce &Gabbana. E infatti mi spariscono sempre!”.
Quest’uomo, insomma, è un vero professionista. Non frustra le attitudini e i sogni di nessuna ragazza, e al contempo fa felice il suo principale cliente. Naturalmente mi preoccupo per lui. Si prova sempre un po’ d’ansia per chi è sulla cresta dell’onda, desiderando che sappia trasformarsi e vivere una seconda parte della vita altrettanto soddisfacente. Così, quando gli chiedo del futuro e delle sue passioni, scopro che ha già in serbo infinite altre strade di successo: creare una linea di design per la casa, progettare apps sui temi del benessere, del gusto, della sartorialità, occuparsi di “modeling” da dietro le quinte… Tutto studiato e previsto e programmato. Solo, per ora, intravedo in lui una vaga, tenue, affascinante ombra melanconica: “Il problema del mio lavoro è che può farti sentire profondamente solo. All’inizio è un’avventura, perché sei sempre in viaggio. Ma è un’avventura che a lungo andare può diventare noiosa, perché si spreca un sacco di tempo ad aspettare. Code all’aeroporto. Altre attese mentre si occupano dei tuoi capelli e del make up. E poi ogni sera un albergo diverso, una stanza che non è la tua… Puoi sentirti veramente solo”. Ecco: abbinate questa struggente confessione di solitudine alla magia delle note e del testo di una vecchia canzone di Jackson Browne, The road, e vi ritroverete di colpo innamorate del bel David, dimentiche delle probabili noie procurate da tutte le sue ore di palestra e dal suo duro regime alimentare. Vorrete solo correre da lui per tenergli compagnia nella luce livida degli aeroporti, nelle stanze solitarie, nelle strade notturne di città sconosciute.