Camilla Baresani
Indirizzo: Via Milano 9/a – 00184 Roma
Telefono: 0647822641
Sito web: http://antonellocolonna.it/open/
Prezzi: €50

Sommario

Roma – Open Colonna, Palaexpo

Marzo 2008 - Il Sole 24 Ore - Domenica - Ristoranti Lazio

Il capitolo della ristorazione museale è solitamente deprimente. Stanzette o stanzoni sgraziati nella zona delle toilette, dove aleggia odore di pietanze preparate altrove e riscaldate nel forno; a volte menu tristi da autogrill, a volte trash-food internazionale, da comitiva acculturata (cuscus e tabulé, quiche e tortillas, insalatone nizzarde, il solito salmone affumicato, polpettine al curry con riso basmati e qualche giapponesata cruda). Di sicuro, il ristorante di museo non è mai quello che si sceglierebbe se non si fosse finiti in quel luogo, quel giorno, con quella fame. Finalmente, però, qualcosa si muove; e, anziché lasciare alla sciatteria dei burocrati la gestione di questi locali, si comincia a pensare che sono essi stessi, in combutta con le opere d’arte esposte, a creare un’atmosfera diffusa di bellezza e di bontà. A Milano sta per essere inaugurato il nuovo ristorante della Triennale, curato da Carlo Cracco; a Roma il ristorante del Palaexpo (nome giovanottistico che ha sostituito l’interminabile “Palazzo delle Esposizioni Nazionali delle Belle Arti”) è stato affidato al celebre Antonello Colonna. Celebre perché di assai riconosciuto talento e anche per esser stato apparentato alla destra gaudente, mentre Vissani (che tenta di smarcarsi) è ritenuto lo chef di quella sinistra che ha rifiutato i penitenziali grigiori comunisti.

“Mangiar troppo è un vizio romano”, fa dire Marguerite Yorcenaur all’imperatore Adriano. “I convitti di Roma m’ispiravano ripugnanza e tedio, tanto che se alle volte ho visto la morte vicina, per farmi coraggio mi son detto che almeno mi sarei liberato dei pranzi”. L’algida atmosfera museale riesce a mitigare queste eterne caratteristiche dei pranzi romani, così ben effigiate nei Cafonal di Dagospia. Ospitato nell’ultimo piano del palazzone tardo ottocentesco di via Nazionale, il bar-ristorante Open dà un po’ l’idea di un grande refettorio ospitato in una serra. Il soffitto e le pareti sono vetrate che lasciano passare la luce cruda e impietosa delle tipiche giornate soleggiate romane. Di giorno si mangia con gli occhiali da sole, e ogni minima imperfezione del volto risalta impietosamente. Lo stanzone è arredato da un ammasso di tavolinetti metallici col ripiano di fòrmica verdina. L’abbacinante pavimento biancastro e lo stand da cui penzolano i cappotti dei clienti contribuiscono a dare l’idea di una scabra e infantilistica contemporaneità, che ricorda le aule delle scuole Montessori. Completano il quadro una manciata di brutte chaise longue di plastica, due insulsi credenzoni verdini e dei lunghi tavoli-desk che immagino servano all’accoglienza degli ospiti quando la sala viene affittata. Piatti e posate sono poggiati su tovagliette di una sorta di rafia melangiata marroncin-begiolina. Mentre mangi, ti arriva sulla testa lo spiffero sprigionato dall’impianto di condizionamento, così forte da far roteare la polvere, oltre ad agitarti i capelli. Eppure, in questo quadro di restyling all’insegna di un pauperismo già sorpassato, bisogna lodare la cucina eccellente, con un menu (in forma di assurdo fogliettone sghembo tipo origami) di cui vien voglia di ordinare proprio tutto, senza pentimenti postumi. Testina di vitello e caponata di verdure; stufato di verza caciotta fresca e lardo; tortelli di ceci rosmarino e guanciola di baccalà; ravioli di pecorino e trippa alla romana; fegato di vitello crostini di polenta e funghi pioppini; lombo di coniglio in crosta di guanciale con fagioli cannellini… Ricca e interessante anche la carta dei vini. Dal punto di vista prettamente culinario, uno dei migliori ristoranti romani, con un menu equilibratamente inventivo all’insegna di materie prime della cucina laziale. Con prezzi decisamente contenuti per cui anche volendo assaggiare a man bassa si finisce per spendere meno di 50 euro a testa.