Camilla Baresani
Indirizzo: Via Umberto I, 9 - 12050 - Albaretto della Torre (CN)
Telefono: 0173520147
Sito web:
Prezzi: €70

Sommario

Albaretto della Torre (CN) – Da Cesare

Novembre 2005 - Il Sole 24 Ore - Domenica - Piemonte Ristoranti
Branzino ricoperto da un’insalatina d’ovoli e tartufi sopra una base di polenta tiepida con nocciole tritate. Dite la verità: se vi propongono di andare in un ristorante che ha nel menu un piatto simile, per prima cosa vi chiedete perché mai non ci abbiano ficcato anche del caviale iraniano; poi inveite maledicendo la Milano da bere degli anni ’80 e tutte le sue successive reincarnazioni, Billionaire compreso; infine vi mettete a rimpiangere il cinema dei fratelli Vanzina, per tanti anni unica vera berlina sociale del nostro paese.
Ma tutto questo livore andrebbe fuori bersaglio. Sarebbe l’ennesima dimostrazione che, sebbene i cliché siano fondamentali per orientarci decidendo in un batter d’occhio cosa valga o no la pena di fare, spesso, e per fortuna, sono fuorvianti.
Allora: immaginate d’essere ad Albaretto della Torre, paesino di 292 abitanti dell’alta Langa, quella al centro di tutto ma lontano da tutto, quella dove la neve arriva presto ed è poco adatta alla vite e molto favorevole alle piante di nocciolo. Immaginate di parcheggiare ed entrare da un voltino – non un’anima viva in giro, né un cane randagio né un’insegna – e trovarvi in un cortile di campagna, poi vedere un muretto fatto di legna impilata tagliata a tocchetti da stufa, passare da varco tra i ciocchi e trovarvi in un giardinetto con vista verso valle, verso altre colline più basse e monti lontani e sparse nebbioline che affiorano qua e là.
Il giardino è un bric-à-brac e si direbbe quello di un artista della domenica. Un orologio a cucù e qualche quadro appeso al muro esterno della casetta, sculturine come le farebbe un bambino fantasioso, sedie sparpagliate, su un tavolino un branzinone da quattro chili adagiato su un letto di ghiaccio, il muso verso valle. (Lunga digressione: questa visione, bell’e pronta per finire rappresentata in una tela, mi ha ricordato un libretto della Sellerio, che da tempo volevo consigliare. La pittura in cucina, firmato da Luca Mariani – storico dell’arte -, Agata Parisella – chef – e Giovanna Trapani – giornalista -. Ci sono splendide nature morte del XVII e del XVIII secolo, corredate da ricette in tema col quadro rappresentato. Peccato per il formato lillipuziano, come se l’editore non ci avesse creduto. Però ripagato dal prezzo, solo 9 euro).
Torniamo da Cesare: così, infatti, si chiama il locale che vi stiamo raccontando. Si entra e ci si trova nella cucina di una casetta di paese. Mobili componibili, il forno identico a quello di casa vostra, l’acquaio, un tavolo apparecchiato, un piccolo caminetto fiammeggiante in cui arrostiscono pezzi di capretto infilati nello spiedo. Un uomo dai tratti scavati, foulardino sbruciacchiato annodato al collo, faccia da Ligabue e dita nodosissime, lavora senza tregua impartendo ordini rapidi a due signore. In un tegame è in caldo la polenta. Alla parete un quadretto dice: No credit card / Menu a prezzo fisso / Aperitivo / 2 antipasti / 1 primo / 1 secondo misto / dessert / caffé / vino Dolcetto incluso / 70 euro. (Naturalmente potrete spendere molto di più se sceglierete vini diversi dal Dolcetto proposto). Nella piccola cucina non c’è traccia di forni ventilati, abbattitori di temperatura, macchinari per il sottovuoto, microonde…: il cibo che non viene consumato in giornata viene infatti distribuito in paese, tra cani e esseri umani, ma non rimane nel frigorifero, dove tra l’altro non ci sarebbe posto per custodirlo.
Oltre la cucina ci sono altre tre stanze, grandi come quelle di una normale abitazione, e arredate di conseguenza: i quadri naive di Cesare (è anche pittore), un trenino di legno, libri e riviste di cucina ammonticchiati, una fisarmonica, un istrice giocattolo. Questa infatti era la casa–negozio dei genitori di Cesare: il padre faceva il contadino e il barbiere, la madre vendeva “commestibili”. In tutto, compreso il tavolo in cucina, c’è posto per 24 persone. Al piano superiore ci sono il bagno (che è un normale bagno di casa, con tanto di doccia) e un salottino-atelier con il cavalletto, la tavolozza dei colori e un paio di poltrone coperte da un telo bianco.
Adesso torniamo al piatto incriminato, quello che ti fa sospettare portofinismi e invece è un capolavoro del sapore e del colore e della composizione artistica: l’invenzione di uno che ha il talento dei creativi spontanei, non quello dell’artista concettuale pulitino, che espone un animale sgozzato o un mucchietto di caramelle in un hangar lattescente, né quello del matto che verrà venduto a prezzi folli solo dopo la sua morte. Perché Cesare è schivo ma arcinoto, e vengono dal Giappone e dall’America e da non so dove per cercare di succhiarne il talento, proprio come una volta si andava a bottega da un grande pittore. Le sue invenzioni proseguono con dei piatti eccezionali per forma e sapore, serviti sulla tovaglia candeggiata del corredo di casa, poggiati su stoviglie normalissime, non quelle “bidet” che ora vanno per la maggiore. Magnifica, per esempio, un’insalata autunnale di carne di vitello castrato, salsa di arance, olio e aceto di Arneis, tartufo, melograni e castagne bollite (servite con la buccia e tagliate a metà). Prima di chiudere voglio dirvi che ho mangiato il più sublime e indimenticabile capretto della mia vita, la crosta croccante, la carne soavemente tenera e saporita (è il suo “piatto firma”); e il Montebianco più buono e bello mai visto: salsa di cachi, con sopra il riccio di una castagna spaccato a metà, e, dentro, purè di castagne sormontato da panna. Ci sarebbero anche altre portate, tutte memorabili, e mi auguro che andrete a scoprirle di persona. Cesare non è sempre aperto e i posti sono pochi: è fondamentale prenotare.