Camilla Baresani
Indirizzo: Strada Viazza di Ramo, 248, 41100 - Modena (MO)
Telefono: 059848052
Sito web: http://www.hotelvillinodellaflanella.it/
Prezzi: €28

Sommario

Modena – Villino della Flanella e Osteria La Piola

Gennaio 2005 - Ventiquattro - Il Sole 24 ore - Ristoranti Emilia Romagna

Siete mai stati in una casa di tolleranza? Io sì, e all’epoca della legge Merlin non ero neanche nata. Succede che a Modena, nella periferia tangenzializia più tremenda che si possa immaginare, tra snodi, capannoni, il casello dell’autostrada e la Fiera, ci si trova prodigiosamente a contatto con due perfetti residui del passato: un’osteria dove si mangia con rigore filologico nella tradizione della cucina povera della regione, e un bordello, accanto all’osteria, rimesso a posto dopo vent’anni di “restauri conservativi” dal nipote della maitresse che lo gestiva. Chiuso dal 1948 per via della suddetta legge, quello di Madame Regina era uno dei dodici casini italiani “di prim’ordine” (su un totale di quasi mille). Perciò niente superfici di piastrelle bianche facilmente lavabili, come nei casini più corrivi, ma uno stile liberty-gotico che alludeva a lussi e lascività dannunziane. Le stanze, una dozzina, sono ora affittabili come normali camere d’albergo. Certo, ci vuole un bel po’ di stomaco – o di senso dell’umorismo – per dormire con una pesante specchiera che incombe a mo’ di tetto sul baldacchino, tra quadretti con le tariffe (semplice Lire 300, doppia Lire 600, quarto d’ora Lire 1000), stampe licenziose francesi e fotografie erotiche d’inizio Novecento, rime che istigano al buon senso (“L’evasione sia un battito di ciglia / ma tieni gli occhi / aperti alla famiglia”), cimeli del Duce (magari un suo testone bronzeo che ti guarda accigliato), e pubblicità della succursale dell’Asmara (“L’arabo nel deserto stà contento, per lui è il più bel posto che ci sia. Ma l’italiano trae giovamento da un po’ di tempo in buona compagnia”). Però, anche senza fermarsi a dormire, la casa di tolleranza merita una visita. Anche perché accanto c’è l’osteria, una costruzione in stile Far West, evidentemente frequentata da celebrità (alle pareti decine di fotografie di volti noti), dove si possono assaggiare piatti altrimenti scomparsi, cucinati senza grassi e perciò definiti “piatti della miseria”. Oggi i grassi sono la cosa meno costosa che ci sia, mentre una volta ci si ingegnava a escogitare pietanze saporite pur se cucinate senza strutto né burro né olio. La gustosa zuppa vedova (vedova di grassi) è fatta con pane e fagioli; i tortelli dei cameranti, ripieni di pane, latte e parte verde dei cipollotti, erano il piatto dei braccianti più poveri, che venivano pagati con l’ospitalità anziché con un salario. E poi pasta con le ortiche, polpette con puré, e traculo (la noce della coscia del maiale, la stessa con cui si fa il culatello) al vino bianco. Per terminare, la torta di frumentone (di farina gialla giacché ai contadini non si concedeva la bianca) e il caffè d’erbe (vedovo di caffè), che veniva servito agli ubriachi per rimetterli in sesto. Se si sceglie il menu completo, accompagnato dal lambruscone (vino da osteria prediletto dai carrettieri), si spendono circa 28 euro.